Una buona notizia per tutte le donne che soffrono di malattie autoimmuni a manifestazione gastro-reumatologica – spondiloartriti, artrite reumatoide, malattie infiammatorie croniche intestinali -arriva dal quarto congresso della SIGR (Società Italiana di Gastro-Reumatologia): oggi, possono avere un figlio, partorire e poi allattare, senza più specifiche controindicazioni. L’importante è farsi seguire, sin dalle prime fasi della gestazione, da un […]
Una buona notizia per tutte le donne che soffrono di malattie autoimmuni a manifestazione gastro-reumatologica – spondiloartriti, artrite reumatoide, malattie infiammatorie croniche intestinali -arriva dal quarto congresso della SIGR (Società Italiana di Gastro-Reumatologia): oggi, possono avere un figlio, partorire e poi allattare, senza più specifiche controindicazioni. L’importante è farsi seguire, sin dalle prime fasi della gestazione, da un team medico multidisciplinare. La gravidanza va programmata con attenzione, scegliendo il momento in cui la malattia sia in uno stato stabile, apportando alcune modifiche alla terapia farmacologica assunta, in modo tale da non arrecare danni né alla madre né al feto.
Le rassicuranti indicazioni emergono dalla due giorni di contributi scientifici e dibattiti in occasione del convegno scientifico della SIGR che si è svolto di recente a Roma ed in cui è emerso che l’80% dei pazienti reumatologici si compone di giovani adulti dai 18 ai 65 anni attivi e con un’ampia rappresentanza di donne in età fertile che desidera avere figli. «La gravidanza è certamente una condizione fisiologica che tuttavia, in pazienti con malattie reumatiche autoimmuni, determina alcune problematiche» sottolinea il professor Bruno Laganà, presidente della SIGR. «Si è portati spesso a prescrivere una riduzione dei farmaci in corso di gravidanza, nella convinzione che soprattutto i farmaci reumatologici siano dannosi per il feto e per la madre. Oppure, si ritiene che alcune malattie come l’artrite reumatoide possano avere una remissione dovuta alla gravidanza e quindi permettere, secondo alcuni medici, la sospensione dei farmaci. Questo assunto è stato smentito dalle nuove ricerche scientifiche: per esempio, sappiamo che adesso è possibile somministrare anche in gravidanza farmaci in uso per la terapia dell’artrite reumatoide; ma anche che alcune molecole della famiglia di anti-TNF presenti nei farmaci biologici2 possono essere presi per tutti e nove i mesi» conclude.
In particolare, «le donne affette da spondiloartrite (SpA) o malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) possono avere gravidanze di successo se seguite da un team multidisciplinare (reumatologo, gastroenterologo, ginecologo-ostetrico, dermatologo, oculista, etc.) attraverso un monitoraggio del benessere materno-fetale e l’impostazione di una terapia, compatibile con la gravidanza, mirata al mantenimento della remissione della malattia materna in accordo con il corretto sviluppo del feto» precisa la dr.ssa Micaela Fredi, U.O. Reumatologia e Immunologia Clinica agli Spedali Civili di Brescia intervenendo durante il Congresso romano: «I controlli sia in senso reumatologico ma soprattutto ostetrico da effettuarsi sono senz’altro più frequenti rispetto a quelli da farsi in corso di una gravidanza normale; peraltro, la probabilità di avere un bimbo con anomalie congenite non è specifica ma sovrapponibile a quella della popolazione generale».
«Ad oggi – continua la dottoressa Fredi – un numero sempre crescente di giovani donne in condizioni di SpA e MICI riceve terapia con farmaci biotecnologici. La posizione iniziale dei medici prevedeva il mantenimento della terapia con anti-TNFalfa3 fino al test di gravidanza positivo e poi una precauzionale sospensione di tale terapia. Tuttavia l’incremento dei dati a disposizione1 attualmente permette di continuare la terapia con anti-TNFalfa fino al terzo trimestre o per tutta la gravidanza (a seconda del farmaco utilizzato). È importante che i farmaci utilizzati in gravidanza siano compatibili anche con l’allattamento, pur se alcuni studi clinici hanno riportato basse concentrazioni di farmaco a livello del latte materno: gli anticorpi sono proteine di grosse dimensioni che passano dal tratto gastrointestinale e quindi subiscono un processo di digestione». «Le donne con malattia reumatica possono comunque presentare una riacutizzazione nei mesi successivi al parto, talvolta dopo poche settimane» avverte la dottoressa Fredi – pertanto, uno stretto monitoraggio clinico e laboratoristico è raccomandabile a partire da 40-50 giorni dopo il parto e per almeno i successivi 6 mesi»chiarisce.
Infine, le malattie infiammatorie intestinali possono comportare la necessità di un parto cesareo, dovuto al rischio di emorragie col parto vaginale? A quest’ultimo quesito risponde ancora la dr.ssa Micaela Fredi, specificando che «l’indicazione alla modalità del parto, che sia vaginale o tramite cesareo deve essere discussa collegialmente. Ad esempio nelle pazienti con Spondiloartrite potrebbe essere necessario suggerire il taglio cesareo nel caso in cui gli esiti di malattia (soprattutto a livello del rachide e degli arti inferiori) rendessero meccanicamente difficoltoso un parto per via vaginale. Le pazienti con MICI invece hanno un elevato rischio di parti cesarei rispetto alla popolazione ostetrica generale; la modalità del parto è decisa dai colleghi ostetrici e basata sia su indicazioni di pertinenza ostetrica, sulla attività e localizzazione della malattia materna e sulla volontà della paziente» termina.