Morosetti (FIR- Fondazione Italiana del Rene): «Per blocco turnover e scarsa programmazione mancano 350 nefrologi in Italia»
Taglio dei posti letto ospedalieri per persone con malattie renali, pochissima dialisi al domicilio, nefrologi utilizzati per coprire turni in altri reparti, ambulatori nefrologici territoriali chiusi per carenza di specialisti dopo anni di blocco del turnover. E lunghe attese per ottenere un trapianto. Tutto questo sta portando la cura delle malattie croniche dei reni ad essere un settore in sofferenza. Questo è il grido di allarme che arriva dai nefrologi, riuniti al convegno “FIRmamento della Nefrologia del Lazio”, l’evento promosso dalla FIR (Fondazione Italiana del Rene), che ha visto a confronto clinici, amministratori e pazienti per fare il punto sulle sfide e le criticità nel post pandemia.
Circa il 10% della popolazione adulta, ovvero 6 milioni di persone in Italia, soffre di malattia renale, e la diffusione di questa condizione è sempre maggiore a causa dell’aumento di persone over 75 anni e della maggior diffusione di condizioni di rischio come ipertensione, obesità e diabete. «Un paziente seguito bene a livello ambulatoriale ha molte possibilità di prevenire o ritardare la dialisi e questo evita al malato il disagio di andare tre volte a settimana in ospedale per esser sottoposto a dialisi cioè un ‘lavaggio del sangue’, ma aiuta anche il sistema sanitario a risparmiare risorse. Il paradosso è che oggi abbiamo farmaci che permettono di ritardare l’ingresso dei pazienti in dialisi, dall’altro non abbiamo professionisti a sufficienza per seguire i pazienti a cui vanno prescritti», spiega Massimo Morosetti, Presidente della Fondazione Italiana del Rene (FIR). Alla base, problemi di programmazione, problemi di organizzazione e in generale una scarsa attenzione al tema, schiacciato come tante altre malattie croniche, dalla pandemia COVID-19.
Carenza di medici nefrologi
In tema di programmazione, uno dei nodi è il Decreto Ministeriale 70 sugli standard ospedalieri. «Oggi per la nefrologia la legge è applicata in modo disomogeneo: oltre ad una riduzione assoluta dei posti letto, in molti casi i posti assegnati non sono attivati per problemi di personale o di spazi. Molti centri di dialisi – prosegue Morosetti – hanno difficoltà nel garantire le attività per mancanza di medici specialisti: abbiamo circa 2.800 nefrologi in servizio in Italia nella sanità pubblica, ne mancano almeno 350. Da quest’anno è aumentato il numero di borse di specializzazione ma i benefici li vedremo tra 4 anni, alla fine del percorso di formazione, mentre nel frattempo moltissimi stanno andando in pensione senza un ricambio generazionale, perché il blocco del turnover ha colpito anche la nefrologia, come molte altre aree. Le strutture si impoveriscono anno dopo anno».
Il problema è trasversale a molte regioni. Nel Lazio, dopo anni di Piano rientro e pandemia si sta perdendo il vantaggio: sono circa 340 i nefrologi in servizio nelle 24 nefrologie di strutture sanitarie pubbliche. Ne servirebbero 100 in più per dare risposte ai circa 100.000 pazienti che insistono nel territorio. Inoltre, quelli che ci sono, non di rado vengono utilizzati anche per coprire carenze in altre aree mediche. «Questo sta portando alla chiusura di ambulatori e al taglio di posti letto nei reparti di nefrologia. Con maggiore mortalità per la mancata presa in carico dello specialista», precisa Morosetti.
Difficoltà per la dialisi
«La dialisi costa in media 225 euro a seduta e ogni paziente ne fa 13 al mese per 12 mesi l’anno, per una spesa media di oltre 35mila euro a paziente l’anno. A questo bisogna aggiungere le spese del trasporto in ospedale (da pulmini e autoambulanze dedicate) che possono costare per una Asl medio grande circa 1,8 milioni di euro l’anno», precisa Morosetti. A fronte di questo la dialisi a casa del paziente è un’opzione ancora rara.
La dialisi peritoneale (che ha tecnica diversa ma effetti sovrapponibili alla emodialisi fatta in ospedale) in Italia non supera il 10% a fronte del 40% di altri paesi, mentre Lazio solo il 7% fa dialisi domiciliare. «Farla a domicilio – spiega Roberto Costanzi, presidente dell’Associazione Malati di Reni – permette al Servizio sanitario regionale di risparmiare ma i contributi regionali per farla non bastano a coprire i costi sostenuti delle famiglie, andrebbero incrementati come alcune Regioni hanno già fatto».
Diffuso in molte regioni è il problema di anziani in dialisi che hanno bisogno di un posto in strutture di lungodegenza e non lo trovano perché, per queste strutture, il costo della dialisi è superiore a quanto viene rimborsato per il ricovero. «Quindi restano ricoverati in ospedale spesso per mesi, pesando molto di più sulla spesa sanitaria pubblica e occupando un posto inappropriatamente. Alcune regioni come la Lombardia e l’Emilia Romagna hanno risolto prevedendo un rimborso ad hoc, ma altrove il problema persiste», spiega Morosetti.
Tempi lunghi per ricevere un trapianto
Anche sul fronte dei trapianti abbiamo difficoltà: nonostante sia dimostrato come il trapianto porti a un risparmio di risorse rispetto alla dialisi, i tempi di attesa sono ancora molto lunghi. «L’emodialisi dovrebbe essere il piano B rispetto al trapianto. Ma il tempo medio prima di esser messo in lista d’attesa – aggiunge Costanzi – per ricevere un rene è di 12 mesi per fare tutti gli accertamenti, a causa di un’organizzazione della nefrologia a macchia di leopardo; nel Lazio un paziente in dialisi attende in media 18 mesi, con i conseguenti disagi. Altre regioni riescono ad essere più veloci».
Le associazioni e i clinici chiedono però anche più impegno nel promuovere la legge che consente ai Comuni di inserire, al momento del rinnovo della Carta di Identità, la manifestazione di volontà alla donazione degli organi, scelta che, se non affrontata in vita viene demandata alle famiglie al momento della morte, mettendole davanti a scelta non facile. «Il Lazio, come altre regioni, – aggiunge Costanzi – non ha una legge che incentivi i comuni o che promuova la formazione per gli impiegati. Così molti pazienti vivono un’odissea per ricevere un trapianto. E non manca chi si mette in lista in altre Regioni».
«In Italia – ha spiegato Massimo Cardillo, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti – la lista d’attesa per un rene include più o meno stabilmente 6.500 persone, e quindi i 2mila trapianti che riusciamo a fare ogni anno non soddisfano il fabbisogno per il trattamento delle insufficienze renali terminali. Abbiamo due strade da percorrere, entrambe con eguale convinzione. La prima è quella di promuovere il più possibile la cultura della donazione, chiedendo ai cittadini di dare il consenso al prelievo dopo la morte. Ancora oggi in media oltre 30% di chi si esprime lo fa con una opposizione, e questo è un problema culturale che si supera solo con la corretta informazione. La seconda strada è il trapianto di rene da donatore vivente, che deve diventare una soluzione di routine e, nei casi che lo consentono, la prima opzione per chi ancora non inizia la dialisi. Nel resto d’Europa ci sono paesi che hanno raggiunto livelli ragguardevoli».
«Il Lazio – ha spiegato Mariano Feccia, Direttore del Centro Regionale Trapianti Lazio – ha una rete trapiantologica eccellente, ma il livello di donazioni è da migliorare: abbiamo un 33% di opposizioni alla donazione mentre la media nazionale 28%. E’ da implementare attività di cultura della donazione. Accanto a questo, indubbiamente bisogna promuovere la donazione da vivente per il trapianto di rene. Inoltre la creazione di una più stretta rete di collaborazione e coordinamento tra nefrologie-dialisi-centri trapianto rene porterebbe a ottimizzare i tempi di ingresso in lista di attesa».
Mancanza di una rete nefrologica
Dal punto di vista dell’assistenza manca la strutturazione e il riconoscimento di Reti regionali di Nefrologia per collegare i centri di dialisi con le strutture ospedaliere, nell’ottica di un’organizzazione hub and spoke, così come accade per patologie come infarto e ictus. «Questo percorso, ad oggi, nella nefrologia, non è codificato – è emerso dai relatori che si sono alternati sul palco dell’evento – e lasciato alla buona volontà del singolo professionista. Nel Lazio era iniziata la realizzazione di RENOT, un progetto di aggiornamento dell’organizzazione delle Nefrologie e Dialisi, in un concetto di integrazione più moderno sul modello di RETE nefrologica (HUB-SPOKE). Va portata a termine per una migliore presa in carico del paziente».
In tema di malattie renali, la Regione Lazio ha normativa più avanti di altre regioni già dal 1979: ha creato un Registro Regionale Pazienti renali, la Consulta dei primari nefrologi e prevede una Commissione regionale di vigilanza sull’emodialisi i cui compiti sono quelli di supportare le istituzioni sulle decisioni sulle patologie del rene. «La pandemia però – precisa Morosetti -ne ha fermato i lavori, non si è più riunita perché la priorità due anni e mezzo è stata combattere il Covid».
Le proposte della Fir all’attenzione del Governo
Le richieste dei nefrologi sono, quindi, più posti letto Degenza Nefrologia, diversa remunerazione dei trattamenti dialitici nelle lungodegenze, realizzazione di una Rete nefrologica con Hub and Spoke in tutte le regioni, la presenza di nefrologi al tavolo della programmazione sanitaria e più risorse umane. Infine, un più facile accesso ai trapianti di rene, sia velocizzando l’immissione in lista d’attesa che potenziando la donazione degli organi. «A fronte delle criticità e delle proposte emerse – ha affermato Paolo Trancassini (FdI), deputato in Commissione Bilancio e Questore della Camera – il mio impegno è quello di portare questi temi all’attenzione del Governo e accompagnare una delegazione a un incontro con il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, che ha già dato la sua disponibilità ad avviare un tavolo di confronto sulle criticità di dialisi, trapianti e in generale della nefrologia, per rimettere in moto la macchina della sanità».