La presenza di antibiotici nelle acque superficiali, come quelle dei fiumi e, conseguentemente, di laghi e mari, mette a rischio la salute umana e quella dell’intero ecosistema, contribuendo anche all’aggravamento della resistenza antimicrobica. Per questo, i ricercatori della McGill University di Montreal hanno deciso di quantificare il ‘danno’, analizzando i dati relativi al triennio 2012-2015. I risultati emersi sono tutt’altro che incoraggianti: ogni anno, circa 9.300 tonnellate di residui di antibiotici usati dall’uomo (un terzo del quantitativo totale) finiscono nei fiumi. Tra queste 3.600 tonnellate, poi, raggiungono anche i mari o i laghi. Lo studio, pubblicato su Pnas Nexus, mostra, dunque, la potenziale minaccia che l’uso umano di antibiotici può rappresentare per i corsi d’acqua.
Basandosi sui dati globali di vendita degli antibiotici dal 2012 al 2015, gli studiosi hanno stimato che, in media, ogni anno vengono consumate circa 32mila tonnellate dei 40 antibiotici più diffusi ed escrete 22,5 mila tonnellate dopo la metabolizzazione. Di queste, il 29% (9,3 mila tonnellate) vengono scaricate nelle acque superficiali dopo il trattamento o l’attenuazione naturale nel suolo, mentre 3,6 mila (l’11%) raggiungono gli oceani o i laghi. “Gli antibiotici nei sistemi idrici naturali, anche a concentrazioni sub-terapeutiche, destano preoccupazione perché è stato dimostrato che riducono la diversità microbica, aumentano la presenza di geni dell’antibiotico-resistenza e possono influire sulla salute di pesci e alghe”, scrivono i ricercatori.
Lo studio ha elaborato un modello per stimare la quantità di antibiotici utilizzati nell’uomo che si depositano nelle acque superficiali. Infatti, ogni volta che viene assunto un antibiotico non tutta la dose viene metabolizzata dall’organismo e una parte viene espulsa nelle acque reflue. Gli impianti di trattamento possono rimuovere alcuni residui, ma una quantità rilevante sfugge al trattamento. Inoltre, in molte parti del mondo il trattamento delle acque reflue è limitato o addirittura inesistente. “Nella maggior parte dei casi – precisano i ricercatori – la quantità totale di residui di antibiotici nei fiumi raggiunge concentrazioni molto basse, al di sotto della soglia oltre la quale si registra un impatto ambientale rilevante”. Tuttavia, talvolta, per esempio in condizioni di bassa portata, si raggiungono concentrazioni nocive. Questa condizione riguarda circa sei milioni di chilometri di corsi d’acqua, soprattutto in India, Pakistan e paesi del Sud-est asiatico.
L’amoxicillina, il ceftriaxone e la cefixima sono i tre antibiotici maggiormente presenti nei 3,8 milioni di km di fiumi che presentano almeno una sostanza ad alto rischio ambientale. “Stimiamo che 750 milioni di persone vivano in prossimità relativamente stretta – ovvero a meno di 10 km – da questi fiumi”, scrivono i ricercatori, ipotizzando che “il 10% della popolazione mondiale è esposta all’1% delle acque superficiali con le più alte concentrazioni cumulative di antibiotici. Queste popolazioni sono quindi potenzialmente soggette all’assunzione cronica di antibiotici a livelli dannosi se le acque superficiali vengono utilizzate per il consumo umano diretto”. Tuttavia, sono gli stessi studiosi a sottolineare che “questi numeri devono essere interpretati con cautela, in quanto si basano su ipotesi e stime, che si sono rese necessarie alla luce dell’attuale limitata disponibilità di dati”, sottolineano. Di una cosa, però, gli scienziati appaiono piuttosto concordi: “Il consumo globale di antibiotici è cresciuto rapidamente negli ultimi 15 anni e continua ad aumentare, in particolare nei paesi a basso e medio reddito, richiedendo nuove strategie per salvaguardare la qualità dell’acqua e proteggere la salute umana e dell’ecosistema”, concludono gli autori.
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