Secondo un report elaborato da HEAL, ISDE e ReCommon In Europa nel 2019 2.821 decessi prematuri per inquinamento dal PM2,5, oltre 15mila casi di problemi respiratori in adulti e bambini, oltre 4.100 ricoveri ospedalieri. Di Ciaula (ISDE): «L’ossido di azoto che si produce con le centrali a gas aumenta la frequenza di asma, infarti, disturbi cerebrovascolari, alterazioni della gravidanza»
L’inquinamento dovuto alle centrali a gas costa caro alla salute ma anche alle tasche degli italiani. Secondo il report “False fix: the hidden health impacts of Europe’s fossil gas dependency” elaborato da HEAL, ISDE e ReCommon, l’Italia è il paese che ha pagato lo scotto maggiore con circa 2,1 miliardi di euro annui di costi sanitari, più o meno un quarto del totale europeo che ammonta a 8,7 miliardi. Un rischio sanitario molto alto e forse sottostimato dai governi che secondo i proponenti del rapporto dovrebbero rivedere le politiche energetiche.
Un danno, quello economico, a cui si aggiunge il forte impatto in termini di salute che coinvolge tutti i paesi europei. Nel 2019, l’inquinamento atmosferico dovuto alla combustione di gas fossili per la generazione di energia ha provocato 2.821 decessi prematuri per inquinamento dal PM2,5 nell’Unione europea e nel Regno Unito e cinque decessi postneonatali causati dal PM10. Questi decessi prematuri sono legati all’esposizione a lungo termine all’inquinamento causato dalle centrali elettriche a gas presenti. Sono stati inoltre registrati 38 decessi causati dell’esposizione a breve termine all’ozono derivante dagli impianti a gas.
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«Tutto nasce da una scelta fatta compiuta 20 anni fa. All’epoca l’Italia decise di investire con convinzione sull’energia da fossili e da gas – spiega Agostino Di Ciaula, Presidente del Comitato Scientifico ISDE -. Nel febbraio 2002 fu varato il decreto sblocca centrali con un unico articolo che spianava la strada alla realizzazione di centrali elettriche, all’epoca alimentate a gas. Tra il 2002 e il 2006 sono stati realizzati e autorizzati 46 progetti, indipendentemente dal fabbisogno energetico delle regioni».
Le conseguenze sulla salute dei combustibili fossili preoccupano gli esperti. L’inquinamento atmosferico dovuto alla combustione di gas fossili contribuisce anche all’insorgenza o all’aggravamento di una serie di patologie. Nel 2019 sono stati registrati oltre 15mila casi di problemi respiratori in adulti e bambini, oltre 4.100 ricoveri ospedalieri e più di 5 milioni di giorni di produttività persi per malattia.
«Il falso presupposto è che il gas sia considerato il più verde tra i combustibili fossili – sottolinea Di Ciaula, che è anche medico internista presso la Medicina Interna universitaria “A.Murri” del Policlinico di Bari -. Inquina di meno ma non vuol dire che non inquina. Con il gas si produce poco particolato primario, ma non è l’unico inquinante. Bruciare gas significa produrre inquinanti gassosi altrettanto pericolosi: tra cui particolato (PM), biossido di azoto (NO2) e biossido di zolfo (SO2) che generano importanti conseguenze sanitarie sul breve periodo. In una stessa giornata se aumenta l’ossido di azoto aumenta la frequenza di asma, infarti, disturbi cerebrovascolari, alterazioni della gravidanza».
I più esposti sono naturalmente i più fragili. Recenti studi hanno dimostrato che i più piccoli sono particolarmente vulnerabili ai rischi derivanti dall’inquinamento dell’aria, dato che i loro organi sono ancora in via di sviluppo. La loro salute può essere compromessa nelle fasi iniziali della vita o anche prima della nascita, con conseguenze permanenti.
Tra le conseguenze bronchite o sintomi di asma in bambini asmatici (solo nel 2019, 115.999 giorni per i sintomi di asma), casi di bronchite in bambini non asmatici (12.014) e nuovi casi di bronchite cronica negli adulti.
«Anche nel lungo termine le conseguenze possono essere pesanti: pensiamo al cancro, ma anche altre patologie croniche, alle malattie cardiovascolari e metaboliche, al diabete, all’obesità. Bruciare gas alimenta tutto questo» spiega ancora Di Ciaula.
Oggi le centrali a gas coprono la metà del fabbisogno elettrico del Paese e non si vede un cambiamento di strategia all’orizzonte. Alla fine del 2021, risultavano proposti 48 nuovi gruppi di generazione elettrica a gas, pari a 18,5 GW di potenza, che si aggiungerebbero ai 41 GW esistenti.
Le Ong sono molto preoccupate dalle mosse della Commissione europea, che ha incluso nuove infrastrutture per l’espansione del mercato del gas fossile nel pacchetto REPowerEU, al fine di affrontare la crisi energetica in atto.
Per Vlatka Matkovic, Senior Health and Energy Officer di HEAL, «gli effetti sulla salute e i costi derivanti dalla combustione di gas fossili sono stati enormemente sottostimati nei dibattiti pubblici e politici, ma non possono più essere ignorati».
Antonio Tricarico, campaigner e ricercatore di ReCommon, ha definito «inaccettabile che lo Stato italiano sia il principale azionista dell’azienda che inquina di più con le sue centrali a gas, il tutto a discapito della popolazione italiana. La revisione del Piano Nazionale per l’Energia e il Clima prevista quest’anno dovrebbe mirare ad adottare l’obiettivo di un sistema elettrico libero da fonti fossili entro il 2035 e sollecitare un’ordinata eliminazione del gas entro tale data».
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