L’industria chimica sapeva perfettamente quanto l’esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), potesse essere pericolosa per la salute e lo ha nascosto deliberatamente. E’ un’accusa molto pesante quella che emerge dall’analisi di documenti industriali precedentemente segreti, condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di San Francisco e pubblicata sugli Annals of Global Health
L’industria chimica sapeva perfettamente quanto l’esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), potessero essere pericolose per la salute e lo ha nascosto deliberatamente. È un’accusa molto pesante quella che emerge dall’analisi di documenti industriali precedentemente segreti, condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di San Francisco e pubblicata sugli Annals of Global Health. In particolare, lo studio ha analizzato le tattiche utilizzate dall’industria per ritardare la presa di coscienza pubblica della tossicità di queste sostanze e, in questo modo, ritardare le normative che ne regolano l’uso.
I PFAS sono sostanze chimiche ampiamente utilizzate in molti oggetti di uso comune in quanto idrorepellenti e oliorepellenti. Per semplificare si tratta di acidi molto forti, resistenti ai maggiori processi naturali di degradazione. Sono utilizzati per l’abbigliamento, per gli articoli per la casa e nei prodotti alimentari. «Questi documenti rivelano una chiara evidenza del fatto che l’industria chimica conosceva i pericoli dei PFAS e non ha comunicato i rischi al pubblico, alle autorità di regolamentazione e persino ai propri dipendenti», ha dichiarato Tracey J. Woodruff, professore e direttore del Programma sulla salute riproduttiva e l’ambiente (PRHE) dell’Università di San Francisco (UCSF), ex scienziato senior e consulente politico presso l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA).
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I documenti top secret analizzati sono stati scoperti nel corso di una causa intentata dall’avvocato Robert Bilott, che è stato il primo a denunciare con successo la contaminazione da PFAS, e coprono un arco temporale di 45 anni dal 1961 al 2006. Queste preziose informazioni sono state date ai produttori del documentario «The Devil We Know», che li hanno donati poi alla UCSF Chemical Industry Documents Library. «Avere accesso a questi documenti ci permette di vedere cosa sapevano i produttori e quando, ma anche come le industrie inquinanti tengono riservate informazioni critiche per la salute pubblica», ha dichiarato la prima autrice dello studio Nadia Gaber. «Questa ricerca è importante per informare le politiche e per orientarci verso un principio di regolamentazione delle sostanze chimiche basato sulla precauzione piuttosto che sulla reazione», ha aggiunto.
Secondo i ricercatori quindi l’industria disponeva di molteplici studi che mostravano gli effetti negativi sulla salute dei PFAS almeno 21 anni prima che venissero riportati nelle conclusioni. Lo studio riporta una ricostruzione cronologica delle strategie utilizzate dall’industria chimica per sopprimere le informazioni e proteggere i propri interessi, dal 1961 ad oggi. Nel 2004, l’Environmental Protection Agency (EPA) ha multato una delle aziende per non aver divulgato le proprie scoperte sull’acido perfluoroottanoico (PFOA).
L’accordo da 16,45 milioni di dollari fu la più grande sanzione civile ottenuta all’epoca in base agli statuti ambientali degli Stati Uniti. Ma si trattava comunque di una piccola frazione del fatturato annuale di 1 miliardo di dollari che l’azienda ricavava dal PFOA e dall’acido caprilico (C8) nel 2005. «Mentre molti paesi intraprendono azioni legali e legislative per limitare la produzione dei PFAS, speriamo che siano aiutati dalla cronologia delle prove presentate in questo documento», ha dichiarato Woodruff. «Questa cronologia rivela gravi carenze nel modo in cui gli Stati Uniti regolano attualmente le sostanze chimiche nocive», ha concluso.
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