Uno studio internazionale mostra come le caratteristiche socioeconomiche delle persone possono influenzare le previsioni sui contagi. Il lavoro, pubblicato su Science Advances, ha portato alla creazione di nuovi modelli epidemiologici
In caso di epidemie le caratteristiche socioeconomiche delle persone possono influenzare le previsioni sui contagi. A scoprirlo è uno studio internazionale, a cui ha preso parte anche l’Università di Trento, che ha portato alla realizzazione di nuovi modelli epidemiologici che potranno essere utili per interventi di sanità pubblica mirati. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Science Advances, potrebbe migliorare, in futuro, la precisione dell’evoluzione di eventuali pandemie.
Il lavoro è frutto di una collaborazione tra quattro istituti di ricerca: Queen Mary University of London, Central European University, Fondazione Isi di Torino e Università di Trento. L’equipe, coordinata da Nicola Perra (School of Mathematical Sciences, Queen Mary University of London), ha realizzato un nuovo modello epidemico che, accanto ai tradizionali fattori di cui si tiene conto nella propagazione dei contagi come possono essere l’età e il luogo di interazione, introduce anche variabili socioeconomiche quali il reddito, il grado di istruzione, l’etnia, l’occupazione. La convinzione di chi ha condotto il lavoro è che questi fattori svolgono un ruolo significativo nel modo in cui le persone interagiscono e rispondono alle misure di salute pubblica. Includendo queste variabili, secondo gli autori, si possono creare modelli più realistici che riflettono meglio i risultati delle epidemie nel mondo reale.
“Durante la pandemia da Covid – spiega Michele Tizzoni, ricercatore al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento, che ha partecipato allo studio – abbiamo scoperto che in diversi paesi nel mondo la capacità di aderire alle misure di lockdown è stata molto diversa a seconda del reddito delle persone. Chi era più benestante ha avuto la possibilità di aderire alle misure restrittive più facilmente, perché poteva permetterselo. C’erano invece altre persone con un livello di reddito più basso che non potevano permettersi di restare a casa e non lavorare. Ci sono state disuguaglianze enormi“.
L’idea è di rendere l’epidemiologia computazionale più egualitaria e rispettosa delle differenze socioeconomiche che influiscono sull’espansione dell’infezione.
I modelli elaborati sono stati testati su dati reali riferiti alla diffusione della pandemia da Covid 19 in Ungheria. Le informazioni sono state raccolte attraverso dei sondaggi che indagavano non solo l’età dei partecipanti, ma anche il loro stato socio-economico. I risultati mostrano come l’inclusione di indicatori socioeconomici fornisca stime più accurate dell’andamento della malattia e riveli disparità cruciali tra diversi gruppi sociali. I ricercatori hanno dimostrato come il loro “framework” potrebbe quantificare le variazioni nell’aderenza agli interventi di protezione non farmaceutici, come il distanziamento sociale e l’uso della mascherina nei diversi gruppi sociali. E hanno scoperto che trascurare questi fattori nei modelli non solo altera la diffusione delle malattie, ma oscura anche l’efficacia delle misure di sanità pubblica. L’impatto che questo studio potrebbe avere in futuro è chiaro. “Potremmo definire quali sono i gruppi sociali più a rischio e identificare politiche sanitarie di intervento e di prevenzione mirate”, conclude Tizzoni.