Una ricerca israeliana dimostra che il 15% dei pazienti affetti da long Covid soffre di fibromialgia. La percentuale sale al 26% se si considera il solo genere femminile. Cuomo (anestesista): «La fibromialgia può comparire nei pazienti che soffrono di stress post traumatico, disturbo associato al Covid-19»
Si allunga la lista delle patologie da long Covid: il 15% dei pazienti affetti dal virus Sars-CoV-2, nei mesi successivi all’infezione, ha sviluppato la fibromialgia. La percentuale sale al 26% se si considera il solo genere femminile. A dimostrare la stretta correlazione tra Covid-19 e fibromialgia è un recente studio israeliano: «Le mialgie sono, già da tempo, annoverate tra i disturbi della sindrome da long Covid», spiega a Sanità Informazione Arturo Cuomo, direttore della Struttura Complessa di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli.
«Si tratta di un dolore che può localizzarsi in uno o in più muscoli, che appaiono contratti e dolenti se toccati o utilizzati – continua l’anestesista -. Lo studio israeliano, anche se effettuato su un campione piuttosto ridotto di pazienti, circa 200, non solo conferma la correlazione tra l’infezione da Sars-CoV-2 e le mialgie, ma evidenzia un maggiore incidenza di una particolare forma di mialgia, ovvero la fibromialgia». A studiare la possibile relazione tra Covid-19 e fibromalgia sono stati i ricercatori dello Sheba Medical Center in Israele. Lo studio, pubblicato di recente su PLOS One, analizza 198 pazienti ricoverati per Covid-19 nel 2020: è emerso che l’87% ha avuto almeno un sintomo correlato alla fibromialgia dopo essere guarito dall’infezione, il 15% ha sviluppato la sindrome nei cinque mesi successivi. Fra le donne l’incidenza è stata del 26%, sei volte maggiore rispetto alla popolazione generale. I sintomi più comuni, presenti ciascuno in oltre un caso su due, sono stanchezza, disturbi del sonno e dolori muscolari e articolari.
Molto più comune tra le donne, colpite in 9 casi su 10, la fibromialgia è una sindrome caratterizzata da stanchezza e soprattutto dolore diffuso a muscoli e articolazioni. Ne esiste anche una forma giovanile che affligge dal 2 al 6% di bambini e adolescenti. «Non di rado è definita “malattia invisibile” – aggiunge Cuomo, poiché, spesso, trascorrono anni prima che si arrivi ad una diagnosi. In Italia ne soffrono circa 2 milioni di persone, ma non è escluso che la cifra possa essere sottostimata, non solo perché si tratta una patologia difficile da diagnosticare, ma anche perché il registro nazionale che ne raccoglie tutti i casi è piuttosto recente».
La fibromialgia, inizialmente associata esclusivamente alla sfera psichica, è solo da tempi molto recenti considerata e riconosciuta come patologia reumatica extra-articolare. «Tuttavia – sottolinea lo specialista – non c’è alcuna certezza su quale siano le cause scatenanti. Sono noti alcuni fattori di rischio: è stato osservato, ad esempio, che la fibromialgia può comparire nei pazienti che soffrono di disturbo da stress post traumatico». Un’osservazione che spiegherebbe anche la correlazione con l’infezione da Sars-CoV-2: «Non sarebbe il Covid-19 a causare in modo diretto la fibromialgia, ma il disturbo da stress post traumatico che ne deriva», evidenzia Cuomo.
Il sintomo cardine è il dolore cronico, riferito come una sorta di tensione muscolare localizzata in alcune zone, come collo, spalle, schiena e gambe, oppure diffuso. «Il dolore può diventare disabilitante e spesso si associa a stanchezza, disturbi del sonno e altri sintomi fra cui ansia e depressione che, in passato, hanno portato a considerare la fibromialgia come una somatizzazione di disagi psichici che, invece, ne sono una conseguenza. Pur non essendo note le cause – spiega Cuomo – oggi esistono criteri diagnostici condivisi: è molto importante escludere altre malattie che possano essere causa del dolore e degli altri sintomi. È necessario valutare la storia del paziente e, soprattutto, la durata del dolore e i trigger points, ovvero i punti dolenti che nel paziente con fibromialgia sono almeno 11 su 18 punti chiave totali».
Una diagnosi corretta e tempestiva permette di offrire cure adeguate, in grado di garantire una buona qualità di vita: «Recenti studi hanno dimostrato che il dolore cronico, se non trattato, può alterare le aree cerebrali deputate all’elaborazione del dolore, zone connesse alla regolazione ed elaborazione delle emozioni. È perciò importante prendere in carico questi pazienti in maniera da evitare che possano sviluppare malesseri psichici ed emotivi, a causa del vissuto negativo indotto dalla sindrome», sottolinea lo specialista.
Per questo, l’approccio per il trattamento della fibromialgia deve essere multidisciplinare e comprendere sia la sfera fisica che quella psichica. «La terapia può includere anche miorilassanti e antidolorifici, ma i trattamenti sono per lo più non farmacologici e soprattutto personalizzati, con interventi sullo stile di vita, educativi e psicoterapeutici. Purtroppo la fibromialgia non è inclusa nell’elenco delle patologie croniche e quindi nei LEA: i pazienti non hanno diritto a esenzioni per visite, esami e terapie e questo complica non poco la gestione della sindrome, per la quale sarebbe importante creare percorsi adeguati così da ridurre i tempi per la diagnosi e – conclude Cuomo – garantire una presa in carico assistenziale adeguata in centri con esperienza nel campo».
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