Sanità 31 Agosto 2021 14:37

Amalia Bruni: «Burocrazia ottusa nemica della ricerca. Ma non cambierei la scelta di restare in Calabria»

I suoi studi sull’Alzheimer hanno dato un grande contributo per capire i meccanismi della malattia. Oggi la corsa per la presidenza della Regione appoggiata da Pd e M5S: «La sanità torni in mano ai calabresi, ripagheremo i debiti»

di Francesco Torre
Amalia Bruni: «Burocrazia ottusa nemica della ricerca. Ma non cambierei la scelta di restare in Calabria»

Dalla scoperta della “presenilina”, il gene più diffuso dell’Alzheimer, ne è passata di acqua sotto i ponti. Per la precisione ben 25 anni, in cui Amalia Bruni ha visto crescere e consolidarsi il Centro di ricerca Neurogenetica di Lamezia di cui è fondatrice e direttrice dal 1996. Un piccolo miracolo, in una regione, la Calabria, dove la sanità da anni è sottoposta ai piani di rientro del commissariamento e dove, come nel resto del Mezzogiorno, fare ricerca ad alti livelli non è certo semplice.

Oggi Amalia Bruni è uno dei neurologi più affermati a livello mondiale con oltre duecento pubblicazioni all’attivo e nel suo curriculum anche il privilegio di aver collaborato con il premio Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini. Esperienze che la Bruni porterà con sé nella campagna elettorale per le regionali in Calabria, dove concorre per la carica di governatore appoggiata da una coalizione che vede come assi portanti Partito democratico e MoVimento Cinque Stelle.

Di sicuro, non mancherà la sua attenzione per il mondo della sanità e della ricerca. Solo lo scorso anno, il suo Centro è stato a rischio chiusura e, dopo numerosi appelli e una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, solo l’intervento del Ministero della Salute ha scongiurato il peggio.

Dottoressa, qual è il segreto per fare ricerca scientifica di livello in Italia e soprattutto nel Sud del nostro Paese?

«Non esiste un segreto, in Italia fare ricerca è complicato, è difficile per mancanza di sensibilità, per una burocrazia ottusa e respingente che ritarda tutto e in buona sostanza per una mancanza culturale e politica del nostro Paese che non agevola lo studio e la ricerca in generale. E al Sud le difficoltà sono anche maggiori. Bisogna essere appassionati, determinati, lavorare tanto e sapersi districare tra burocrazia opprimente, una politica poco attenta e tanti altri ostacoli di varia natura. Nonostante questo, e lo dico soprattutto ai giovani, non vi scoraggiate, lasciate che i vostri sogni si trasformino in realtà e cercate di farlo a casa vostra, lottate senza perdervi d’animo e non abbandonate mai. Io ho lavorato per quarant’anni in Calabria per scelta e non sono pentita, lo rifarei altre cento volte. Le dico sinceramente che la volontà di candidarmi è dovuta anche al fatto che credo di poter dare ancora molto alla mia terra e ci terrei a fare in modo che i giovani della mia regione possano avere nuove opportunità per poter decidere di restare a casa loro».

Tanti medici, fermati dal famigerato imbuto formativo e da stipendi non sempre all’altezza, scelgono la strada dell’estero. È mai stata tentata di andare in un altro Paese? Cosa bisogna fare per trattenere i cervelli in fuga?

«Il problema è reale, non riguarda solo la Calabria ma tutto il Paese. Poi mi consenta di spiegare meglio: quelli che decidono di andare all’estero non sempre lo fanno per scelta ma per necessità. Se avessero la possibilità di restare a casa loro credo che sarebbero tanti di meno a voler andare fuori dall’Italia. Io sono stata spesso all’estero, per studiare, per la ricerca, per convegni, per un confronto con altri colleghi ma sono sempre ritornata in Calabria. Ho combattuto per restare vicino alla mia gente e sono orgogliosa di questo. Mi sono presa cura di migliaia di pazienti, ho sentito l’affetto delle loro famiglie e ho fatto tutto il possibile per loro. E anche di questo sono orgogliosa. Abbiamo bisogno di costruire una nuova Calabria non solo con i migliori cervelli locali ma anche sviluppando un’alta capacità di attrazione».

Uno dei problemi della Calabria è la mobilità sanitaria verso le Regioni del Nord: tanti suoi concittadini sono costretti a recarsi a Roma o al Nord per avere cure. Cosa pensa di fare per risolvere il problema?

«Innanzitutto la programmazione della sanità deve tornare in mano ai calabresi. Oggi spendiamo oltre trecento milioni di euro all’anno per il cosiddetto Turismo sanitario. A questo devono essere aggiunti i soldi spesi dalle famiglie che accompagnano. Una quantità di soldi enorme, con questi stessi soldi potremmo far funzionare al meglio le nostre strutture. Noi abbiamo bisogno di contrarre un patto forte con gli italiani, c’è bisogno dell’aiuto di tutti per risolvere non solo il problema della Sanità ma anche tutti gli altri che da decenni attanagliano la Calabria, e per questo motivo dobbiamo uscire dall’isolamento in cui siamo relegati. Ci vuole un patto. Un patto con il resto della nazione ma stavolta non più sulle spalle dei calabresi ma insieme ai calabresi. La Calabria deve essere parte integrante dell’Italia, orgogliosamente. Per quanto riguarda la questione sanità bisogna quantizzare una volta per tutte il debito e dividerlo in due parti: quello degli ultimi dodici anni, aumentato con il commissariamento, deve essere a carico dello Stato. Il resto, quello generato dai calabresi, sarà pagato, spalmato nel corso degli anni, dai calabresi stessi. Non è più tollerabile che il debito aumenti e i servizi diminuiscano, che le tasse crescano senza che questo corrisponda a servizi. Solo negli ultimi anni abbiamo perso oltre quattromila professionalità tra medici e altre professioni sanitarie. In questo modo le ambulanze restano ferme per mancanza di medici e operatori sanitari, gli ospedali sono costretti a chiudere reparti per lo stesso motivo e la salute pubblica è sempre meno sotto tutela, i cittadini sono sfiduciati e la corsa fuori regione diventa una prassi. Noi abbiamo comunque competenze, professionalità eccellenti e strutture che messe a regime possono fare la differenza. Ma abbiamo anche una visione chiara di come la sanità territoriale debba essere ricostruita, conosciamo quello che serve per uscire da questa situazione».

Lei ha collaborato col premio Nobel Rita Levi Montalcini, che ricordo porta della grande scienziata?

«“Rita” (mi costrinse a darle del tu ancora quando avevo 34 anni) era una persona eccezionale non solo da un punto di vista intellettivo ma anche da un punto di vista emotivo. Ha sempre creduto che questo nostro lavoro di studio e ricerca avesse un valore maggiore persino di quello fatto nelle grandi cattedrali della scienza proprio perché condotto in territori difficili. Forse rivedeva in me le sue iniziali difficoltà di quando giovanissima coltivava gli embrioni di pollo nella sua camera da letto. Mi ha sempre sostenuto e difeso, ha sempre difeso la libertà della scienza e la sua autonomia di pensiero, a maggior ragione quando sviluppata da donne. È stata la nostra madrina due volte, un baluardo. Una forza che ancora mi sento dentro».

 

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