Il Consiglio europeo rinnova l’impegno per cercare luoghi consoni a una produzione tutta europea. Passi avanti sul certificato vaccinale. Draghi interviene e chiede certezze
È stata un’apertura particolare quella del Consiglio europeo di questo mese, la prima di Mario Draghi da presidente del Consiglio italiano. Gli Stati membri si sono confrontati su quello che non sta funzionando nella campagna vaccinale. Molto di cui parlare guardando ai dati, che mostrano come nei Paesi Ue sia vaccinato poco più del 6% della popolazione. Di fronte all’impietoso confronto con l’88% di Israele e il 27% del Regno Unito.
Il presidente Draghi non si è comportato “da ultimo arrivato”. Durante la presentazione di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, sul piano consegne vaccinali del prossimo trimestre ha storto il naso. «Non sono rassicuranti perché non danno certezze» ha detto, senza molte cerimonie, ai suoi nuovi colleghi. A questo ha fatto seguire una serie di richieste molto schiette sul futuro andamento della campagna vaccinale europea. Richieste che si possono riassumere con tre imperativi: velocità, puntualità e linea dura.
Quest’ultima nei confronti dei colossi farmaceutici produttori di vaccini, che continuano a ritardare gli accordi di fornitura firmati con l’Ue. Draghi ha chiesto di ipotizzare un “blocco” delle produzioni destinate all’Europa con conseguente divieto di export. Confermando di essere tra coloro che sospettano che dietro i ritardi di Big Pharma non ci sia un calo di produzione, ma un dirottamento dei vaccini fuori dall’Ue.
Il Consiglio è andato in questa direzione poi, nel confronto con le case farmaceutiche. Da qui la richiesta di rendere garantita la prevedibilità delle produzioni e rispettare tassativamente le consegne previste da contratto. Uno stop definitivo alla tolleranza verso i tagli improvvisi e le consegne ritardate, a cui si aggiunge la richiesta fatta ai leader di esaminare tutti gli impianti esistenti sul territorio europeo per poterli rendere funzionali alla produzione di vaccini. Nonché la necessità di rendere più facili gli accordi tra i produttori delle catene di approvvigionamento.
Contro l’avanzo delle varianti e il pericolo che rappresentano la decisione è stata quella di limitare i viaggi non essenziali in tutti i paesi e alimentare restrizioni sempre più incisive. Anche in questo campo è intervenuto il presidente Draghi, con la proposta di dare la precedenza alle prime dosi di vaccino, per ampliare la platea di immunizzati come fatto dall’Uk.
Si è discussa e concretizzata anche l’esigenza di mettere a punto, entro l’estate, un certificato sanitario che possa agevolare gli spostamenti delle persone. In un’audizione con gli amministratori di AstraZeneca, CureVac, Moderna e Novavax, è stato concertato un approccio comune sui certificati vaccinali. Tutti i leader concordano sull’utilità del lasciapassare, ma temono discriminazioni verso i propri cittadini. Dai due giorni di meeting si è venuti fuori con la certezza che un certificato digitale e letto da tutti i sistemi possa essere ultimato prima della stagione turistica.
Ultimo nodo affrontato è stato quello della solidarietà con paesi terzi, da sostenere nella risposta globale alla pandemia. L’Ue ha già implementato lo strumento Covax, per l’accesso ai vaccini per gruppi prioritari negli altri paesi. Per ora sono coinvolti 92 paesi a basso e medio reddito. Non è mancato l’intervento di Draghi che ha sottolineato che, pur sposando la causa, non bisogna dimenticare la «coerenza verso i cittadini Ue» e la necessità di progredire prima sufficientemente in Europa.
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