Insieme ad altri colleghi, l’economista ha firmato un piano di rilancio “anti-virus”, pubblicato sul Financial Times: «Combattere i “free riders” che speculano e intervenire, con forti investimenti, sul settore sanitario e sulla ricerca»
Controllare i mercati dei capitali, acquisire e rendere di dominio pubblico le conoscenze tecniche e scientifiche private nella ricerca della cura contro il virus, investire nel settore della sanità e della ricerca, affrontare il rischio di una disorganizzazione dei mercati, ovvero di fenomeni di strozzatura nelle catene della produzione che potrebbero determinare problemi di approvvigionamento di beni e servizi. Sono questi i punti principali del piano “anti-virus” firmato da diversi professori ed economisti italiani e di recente pubblicato sul Financial Times. Si tratta di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche) e Antonella Stirati (Università Roma Tre).
«Una delle priorità – spiega a Sanità Informazione Emiliano Brancaccio, docente di Politica economica all’Università degli studi del Sannio – è mettere a disposizione di tutta la comunità internazionale degli scienziati le conoscenze finora acquisite dai privati. Solo così avremo una cura per il Coronavirus in tempi rapidi». E aggiunge: «Ci stiamo accorgendo di una cosa fondamentale: dinanzi ad un’emergenza come questa, la sanità pubblica è l’unica salvezza».
Professor Brancaccio, cosa prevede questo piano “anti-virus”?
«Abbiamo proposto un piano diviso in tre punti. Prima di tutto, occorre un controllo dei mercati dei capitali, i quali in questo momento sono, e lo saranno per lungo tempo, dominati da fenomeni di tipo speculativo. È un’azione che viene fatta, in generale, in tutte quelle circostanze in cui si verificano crisi particolarmente gravi, e questa lo è. Ciò significa sospendere le contrattazioni di borsa, quando necessario, e controllare i movimenti internazionali di capitali. Dopo di che serve un massiccio piano di investimenti pubblici per rilanciare la domanda e, in generale, per rafforzare sia il settore sanitario sia il settore della ricerca. Da questo punto di vista riteniamo che sia urgente, in questo piano di investimenti pubblici, provvedere all’acquisizione dei diritti di proprietà intellettuale che riguardino la ricerca contro la pandemia al fine di far sì che le conoscenze scientifiche e tecniche, che in questo momento restano private nel campo della ricerca contro il virus, vengano immediatamente rese pubbliche e messe a disposizione di tutti gli scienziati che, nel mondo, si stanno occupando della questione. Si tratta di una misura urgente che necessita di un piano pubblico di acquisizione, possibilmente coordinato a livello internazionale. Infine, il terzo punto riguarda la necessità di contemplare anche il rischio di una “disorganizzazione” dei mercati, come la chiamano gli economisti, cioè di strozzature nelle catene della produzione che potrebbero determinare problemi di approvvigionamento di beni e servizi. Sappiamo che problemi di approvvigionamento si stanno già verificando nel settore sanitario. La preoccupazione è che se le quarantene dovessero perdurare potrebbero emergere problemi analoghi anche in altri settori. Per questo è necessario un intervento pubblico, per poter riorganizzare i mercati e farli funzionare correttamente. Sono questi i tre punti su cui si basa il nostro piano e secondo noi è l’unico livello a cui si dovrebbe situare il dibattito di politica economica per essere all’altezza della enormità di questa emergenza. Perché questa è una crisi senza precedenti».
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Ha denunciato anche il fenomeno del “free riding”. Di cosa si tratta?
«È una questione che riguarda il punto numero due del nostro piano, ovvero l’esigenza di un investimento pubblico nel settore della ricerca scientifica. Il problema è che, nel campo della ricerca contro il virus, in questo momento ci sono tanti “free riders”, cioè tanti “battitori liberi”. Che significa? Significa che un soggetto guarda, com’è naturale che sia, al proprio interesse personale, al proprio movente individuale, e quindi cerca di trattenere presso di sé le conoscenze scientifiche di cui eventualmente dispone, in modo da fare speculazione al rialzo sulle stesse per poi, eventualmente, vendere in un secondo momento al miglior offerente. In questi giorni varie aziende hanno dichiarato di essere vicine al conseguimento delle tecniche necessarie per ottenere il vaccino, o comunque per ottenere dei farmaci che consentissero di contrastare il Coronavirus. Ciò ha determinato, chiaramente, un boom dei prezzi azionari con possibili guadagni di capitale per i soggetti in questione. È evidente che questi sono comportamenti che possono essere funzionali agli interessi di questi soggetti ma, in realtà, frenano il processo collettivo da cui dovrebbero nascere le conoscenze scientifiche e le tecniche necessarie per contrastare il virus. È per questo, dunque, che tutte le conoscenze tecniche e scientifiche che, per il momento, restano confinate in ambiti privati, dovrebbero essere rapidamente acquisite dal settore pubblico. In questi casi di solito si opera tramite l’acquisizione dei brevetti che poi vengono messi gratuitamente a disposizione di tutti. Il free riding si contrasta con un intervento pubblico di tipo sistemico. Altrimenti sia il vaccino che i farmaci li otterremo in un tempo molto più lungo rispetto a quello che servirebbe se venissero messe a disposizione di tutti le conoscenze scientifiche finora accumulate».
Come esce da questa emergenza il settore sanitario mondiale?
«Ci stiamo accorgendo di una cosa fondamentale, e cioè che, dinanzi ad un’emergenza come questa, la sanità pubblica è l’unica salvezza. Si è parlato di autonomia differenziata a livello regionale soprattutto nel settore sanitario. Si è parlato insomma di tutta una serie di processi che mettevano grosso modo in competizione tra di loro le diverse unità sanitarie, un po’ come se operassero in una logica aziendale. Tutto questo viene messo in discussione da questa crisi. Ci stiamo rendendo conto di come in una situazione di emergenza il coordinamento centrale da parte dello Stato sia l’unica salvezza. E il criterio aziendale con cui si è cercato di governare la sanità, in Italia ma non soltanto, è inefficace in una situazione del genere. Secondo me, è questa la lezione che traiamo riguardo al settore sanitario. Non è un caso che sistemi sanitari maggiormente privatizzati stiano incontrando difficoltà ancora più grandi del nostro. Il caso del Regno Unito mi pare emblematico».
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Sono sufficienti i 25 miliardi stanziati dal Governo per fronteggiare il problema?
«No, non lo sono. Sono insufficienti dal punto di vista della manovra di politica economica. Giusto per dare un ordine di grandezza: fermare anche solo parzialmente le attività produttive, anche solo per due settimane, significa perdere 80 miliardi di produzione di reddito nazionale. Parliamo, grosso modo, del 4% del Pil. E questo è un calcolo puramente contabile, cioè non tiene conto degli effetti moltiplicativi della recessione. Per intenderci, si ha effetto moltiplicativo quando, bloccando il reddito di un soggetto, il quale di conseguenza non spende, viene distrutto anche il reddito di qualcun altro. Questo ci fa capire che gli interventi di politica economica che si sono finora posti in essere, in Italia ma non soltanto, sono interventi del tutto insufficienti».
La sospensione del patto di stabilità può aiutare?
«Sospendere il patto di stabilità significa, sostanzialmente, che i singoli Stati possono andare sul mercato finanziario per reperire le risorse necessarie per finanziare le loro spese. Il rischio è che se tutti i Paesi adesso vanno sui mercati finanziari chiedendo di indebitarsi ulteriormente, si espongono al rischio di speculazioni. Questo perché si viene a creare un eccesso di offerta di titoli sul mercato finanziario che può determinare un crollo del prezzo dei titoli. Questa è la condizione ideale per i lupi di borsa, cioè per gli speculatori. La questione è quindi che non è sufficiente sospendere il patto di stabilità: è necessario che la Banca Centrale Europea intervenga con massicce dosi di liquidità per acquistare direttamente i titoli degli Stati e scongiurare qualunque fenomeno di tipo speculativo. Questo perché, se la Bce interviene acquistando, non si creano eccessi di offerta di titoli sul mercato e, quindi, non si creano le condizioni per quei crolli dei prezzi dei titoli che sono, ovviamente, una manna per la speculazione. La Bce ha dichiarato che è pronta ad intervenire con 750 miliardi. Sembrano tanti, ma non lo sono. La verità è che per fermare la speculazione la Bce non dovrebbe porre un limite massimo al suo volume di fuoco».
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