Parla il Presidente della Commissione Sanità del Senato Stefano Collina (PD): «Gratitudine e sostegno a operatori in prima linea». Poi promuove le norme dell’esecutivo. Commissione per ora non convocata: «Ogni giorno salta fuori un eletto positivo, attività Parlamento non centrale in questa fase. Ma bisogna pensare alla gestione della partecipazione democratica in queste situazioni»
«Agli operatori sanitari va tutta la nostra gratitudine e il nostro sostegno. Dire grazie è poco». Stefano Collina, senatore del Pd da poche settimane alla guida della Commissione Sanità del Senato, ha voluto, nel corso di una conversazione con Sanità Informazione, dedicare un pensiero al personale sanitario che sta lottando contro il COVID-19 in tutta Italia. Un grazie che però, sottolinea, va accompagnato da un aiuto concreto «richiamando forze fresche da mettere a disposizione» e mettendo gli operatori «nelle migliori condizioni di sicurezza per svolgere il lavoro».
La XII Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama, per il momento, non è convocata, e tutto il Parlamento sarà con ogni probabilità chiamato a lavorare in condizioni eccezionali. «Le indicazioni della Conferenza dei Capigruppo sono chiare: siamo convocati solamente per misure strettamente necessarie. Come vediamo ogni giorno salta fuori un eletto positivo, quindi con tutte le conseguenze che ne conseguono» spiega. La speranza è quella, ovviamente, di tornare a lavorare in Parlamento quanto prima, ma al momento è difficile fare previsioni: «Per convertire un decreto servono due passaggi, come minimo, tra Camera e Senato. Abbiamo 60 giorni di tempo per convertirlo. Ma noi qui siamo arrivati già al quarto Decreto legge e al sesto Dpcm nell’arco neanche di un mese. Noi speriamo che tra 60 giorni l’epidemia sia sotto controllo, che gli esiti delle azioni che stiamo prendendo siano positivi. Ma c’è una oggettiva discrasia. Ora è il Governo che deve affrontare l’emergenza».
Secondo Collina, le misure prese dal premier Giuseppe Conte sembrano andare nella giusta direzione, anche se non si può escludere una ulteriore stretta: «La situazione è inedita per tutti e quindi va seguita giorno per giorno. Però credo che la sensazione che il governo sta dando nelle ultime ore è di aver preso le misure al fenomeno e quindi, in funzione anche di tutto il percorso che è stato fatto fino ad ora in Italia, credo che le ultime norme contenute nel Dpcm dell’11 marzo siano adeguate». «Poi chiaramente – aggiunge – l’evoluzione va monitorata e non è detto che il punto di equilibrio che si è trovato in questo momento non debba essere ulteriormente spostato. Credo che l’escalation di norme restrittive sia arrivata ad un punto molto significativo. Gli interventi che si fanno sul piano sanitario e poi sul piano economico sono normative che devono giustificarsi vicendevolmente».
Il pensiero di Collina volge però già al futuro: imparare da questa crisi per non farsi trovare impreparati. «Tutte le idee di organizzazione della sanità che si sono sviluppate anche con modelli differenti a seconda delle regioni, devono essere messe da parte e rifondate in funzione di quella che può essere la necessità di affrontare emergenze come queste, dopo il COVID-19. Se per anni abbiamo immaginato ciascuno con punti di vista legittimi di proporre una sanità adeguata ai tempi, ovviamente con delle logiche e delle previsioni, queste previsioni oggi vengono completamente sbalestrate da un evento eccezionale che nessuno può garantire che non capiti di nuovo in futuro». La crisi è dunque come «uno stress test che ci dice che oggi se dobbiamo riorganizzare la sanità in un Paese moderno dobbiamo tenere conto di eventi come quello che stiamo affrontando in questo momento. Il pensiero va alla ricerca, questo è un aspetto sul quale forse ci si era un po’ seduti. Ma anche alla creazione di alcune strutture specializzate su patologie come il COVID-19. La sanità va riorientata riguardo ad un complesso di aspetti che dal punto di vista organizzativo ci devono trovare più pronti ad affrontare emergenze come queste».
L’epidemia di coronavirus ha anche messo a nudo alcuni malfunzionamenti del rapporto tra regionalismo sanitario e governo centrale. «Il tema di un coordinamento nazionale e quindi anche europeo, è un tema che mi sembra sia esploso in tutta la sua evidenza. Ci sono organizzazioni differenti nel nostro Paese che rispondono in modo differente ad una emergenza come questa, ci sono politiche sanitarie scoordinate per scelta a livello europeo che reagiscono in modo differente rispetto a queste emergenze. Tutto ciò va ad essere oggetto di una riflessione significativa perché il virus non conosce frontiere, non fa differenza tra organizzazioni sanitarie migliori o peggiori. È capace di mettere in crisi tanti e diversi modelli organizzativi della sanità. Se il virus è un problema globale, la capacità di risposte è globale».
Ma il coronavirus sta portando anche a una riflessione sul funzionamento della democrazia parlamentare. «La gestione della partecipazione democratica nei luoghi istituzionali deve essere garantita a fronte di situazioni di questo genere. È chiaro che se pensiamo che nel Senato fino a pochi anni fa il metodo di votazione era per alzata di mano, e anche il voto elettronico non è normalità ma solo eccezione, ci sono delle cose da mettere in campo in fretta. Dall’altra parte credo però che affrontare oggi questa emergenza significa adeguarci pure noi a quello a cui stiamo sottoponendo il Paese. Il Governo ha tutti gli strumenti per poter agire, come la decretazione d’urgenza: se non è giustificata l’urgenza in questa situazione non so quando possa essere giustificata. I decreti possono essere fatti, possono essere reiterati, non necessariamente in questi momenti d’urgenza l’attività del Parlamento è centrale».
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