Il Viceministro uscente alla Salute spiega: «La situazione è sotto controllo, non è che ogni volta che c’è una variante nuova dobbiamo pensare che sia per forza peggiorativa». E sui vaccini dice: «Non ci sono medici di serie A e medici di serie B. L’unico problema di Astrazeneca sono le 12 settimane tra la prima e la seconda dose»
C’è chi, come diversi governatori regionali, vorrebbe accantonare una volta per tutte il sistema della colorazione delle regioni in base alla fascia di rischio. Ma c’è anche chi, come il viceministro uscente alla Salute (e candidato alla riconferma) Pierpaolo Sileri, lo difende a spada tratta.
«Ho sempre condiviso la suddivisione in colori fin da quando è stata promossa» spiega Sileri a Sanità Informazione. La sua posizione è quella intermedia di chi non approva un lockdown generale, salvo un peggioramento della situazione epidemiologica.
«In questo momento – spiega Sileri – sono necessarie zone di chiusura con quella procedura stop and go che io ho sempre difeso sui 21 parametri e il cambiamento di colore delle regioni. Ci sono delle regioni o delle aree all’interno delle regioni che sono già diventate rosse: zone che potrebbero allargarsi se si estende la diffusione di queste varianti. È abbastanza fisiologico: se aumenta la diffusione delle varianti, aumentano i pazienti positivi e quindi è inevitabile un upgrade di colorazione fino alla chiusura. Non so se tutte queste aree diventano confluenti al punto da determinare una chiusura complessiva. Io credo che non serva oggi un lockdown nazionale».
Sileri, dunque, entra nella querelle che sta dividendo virologi ed esperti da settimane spezzando una lancia a favore degli ‘aperturisti’. «Non mi sembra che siamo in una situazione drammatica. Se le varianti dovessero correre, saranno necessarie delle chiusure. Confinare nelle aree rosse l’andamento della progressione del virus permette di difendere le altre aree. La situazione è sotto controllo. Nuove varianti ci saranno ma non è che ogni volta che c’è una variante dobbiamo pensare che sia per forza peggiorativa. Dobbiamo continuare con il monitoraggio che è la parte più importante oltre che proseguire con la vaccinazione. Serve un doppio monitoraggio: quello dei 21 parametri e quello alla ricerca delle varianti per quanto riguarda il genoma del virus».
Il Viceministro alla Salute dice la sua anche sul vaccino Astrazeneca che alcuni medici hanno preso di mira rivendicando il diritto ad avere la somministrazione di quelli più protettivi, come Pfizer e Moderna.
«Il problema di Astrazeneca – continua il senatore M5S – è il tempo tra la prima dose e la seconda che lascia più possibilità di potersi infettare con il virus perché la massima copertura c’è con la seconda dose, anche se alcuni dicono che Astrazeneca sia già molto efficace con la prima dose. Ma non credo ci siano medici di seria A e di serie B perché i vaccini sono tutti quanti efficaci. L’unico problema è che se si fa la prima dose oggi e la seconda dopo 10 -12 settimane si ha sicuramente un arco di tempo più ampio per essere meno protetto nei confronti del virus. Ma comunque se io fossi un medico in attività farei il vaccino scelto per la mia fascia di età».
Grande cautela da parte di Sileri sul vaccino russo Sputnik, dopo che anche gli studi condotti dall’ospedale Spallanzani ne hanno ribadito l’efficacia. «Gli studi ci sono ma manca l’attivazione del processo di approvazione del vaccino da parte degli enti regolatori: EMA per l’Europa e AIFA per l’Italia – spiega Sileri -. Il processo di approvazione di Sputnik o del vaccino cinese non è un fenomeno passivo per cui si dice ‘voglio quel vaccino, prendiamolo’. Chi produce quel vaccino deve attivarsi presso gli enti regolatori per avere l’approvazione, dipende da loro come hanno fatto le altre case farmaceutiche. Non è un fenomeno passivo», conclude.
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