«Ci opporremo in tutti i modi al tentativo di ricentralizzare la sanità» sottolinea l’esponente leghista Vice Presidente della Commissione Affari Sociali. Poi aggiunge: «Blocco delle assunzioni e spending review dimostrano che i problemi sono sempre venuti dallo Stato centrale»
«Chi vuole riportare la sanità allo Stato dimentica che gli sprechi e le diseguaglianze c’erano anche prima della riforma del Titolo V». Rossana Boldi, Vice Presidente della Commissione Affari Sociali, storico esponente della Lega e con una esperienza parlamentare lunga 20 anni, non ci sta e contesta con forza chi vorrebbe riportare la sanità sotto il controllo statale. «La Lega si opporrà in tutti i modi possibili» sottolinea ai microfoni di Sanità Informazione.
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Se la sanità è in condizioni difficili, secondo Boldi, la responsabilità è in primis dei tagli decisi dai vari governi: «Io non credo che la soluzione al problema della sanità italiana sia una ricentralizzazione completa della sanità – spiega Boldi -. Anche perché secondo me tornare indietro a questo punto non avrebbe senso. Dobbiamo ricordarci perché siamo arrivati a questo punto. Molti portano a motivazione il fatto che ci sarebbero 21 sistemi sanitari diversi e che la regionalizzazione della sanità sarebbe la colpevole di questa grande disparità. Ma io vorrei ricordare alcune cose. Prima che ci fosse la regionalizzazione l’assistenza sanitaria era la stessa in tutta Italia e queste differenze c’erano comunque. Lo Stato centrale stipula il Patto per la Salute e decide sostanzialmente le assunzioni di medici, infermieri, ecc. Chi ha messo i blocchi alle assunzioni? Ricordiamoci che ci sono voluti svariati tentativi prima che le regioni che avevano i mezzi per farlo potessero ottenere il permesso di aumentare il personale sanitario. Il governo ha sempre cercato di impedire questa cosa. Si parla in questi giorni di carenze di posti letto. Vorrei ricordare che ad accentuare il taglio dei posti letto è stata la spending review con la riduzione del numero di posti letto sia per acuti che per non acuti: il governo Monti, con il decreto Balduzzi, ha ridotto al 3,7 per mille i posti letto obbligando le regioni a farlo perché sennò sarebbero finite in piano di rientro o addirittura commissariate».
Altro problema, secondo Boldi, è quello dei mancati controlli, a partire dai Lea, i Livelli essenziali di assistenza: «I problemi sono sempre venuti dal governo centrale o perché ha dato delle indicazioni sbagliate o perché non ha controllato nei dovuti modi quello che doveva controllare. È il governo centrale che non ha mai fatto controlli sulla base dell’uniformità della prestazione, i Lea, per vedere se tutte le regioni li garantivano nei modi giusti».
«Federalismo – secondo la Vice Presidente della Commissione Sanità – significa responsabilità, partecipazione e possibilità da parte del cittadino di giudicare e di dare le sue risposte rispetto ai servizi che riceve in modo diretto e più facile. Negare il federalismo significa praticamente dire che gli amministratori regionali non sono responsabili, nel senso che non hanno le capacità di far funzionare il sistema. Ma non è certo da Roma che può arrivare la capacità di far funzionare il sistema».
Anche nell’emergenza Coronavirus, secondo Boldi, le regioni hanno cercato di offrire le migliori risposte possibili, mentre lo Stato si è dimostrato tutt’altro che efficiente: «Se l’approvvigionamento di materiali e di dispositivi di protezione individuale fosse dipeso, come doveva dipendere, ex articolo 117 della Costituzione, comma 2 lettera Q, dal governo, saremmo ancora lì ad aspettare. Fortunatamente le regioni si sono arrangiate da sole. Al contrario il governo dal 31 gennaio, per un mese, non ha fatto niente, non ha fatto nemmeno un controllo di cosa aveva nei magazzini, di cosa doveva ordinare, la possibilità di riconvertire determinate aziende: una inettitudine totale nella convinzione, errata, che da noi questo virus non sarebbe arrivato».
Il Coronavirus ha mostrato però sicuramente una diversa efficienza della medicina territoriale tra le varie regioni: dove è più sviluppata, come in Veneto, la risposta all’emergenza è stata migliore. «Ma non è che se noi centralizziamo, con un colpo di bacchetta magica le cose improvvisamente migliorano, anzi sarà ancora più difficile – conclude Boldi -. Sono convinta che la Lombardia abbia la capacità di riorganizzarsi e migliorare la situazione, la stessa cosa si può dire del mio Piemonte e di altre regioni. Al contrario, non credo che in alcune regioni del sud la legge statale possa fare i miracoli. Ci sono delle regioni che anche dal punto di vista dei finanziamenti, anche quando hanno potuto, non li hanno usati nel modo giusto. Io mi ricordo i finanziamenti per la costruzione di strutture sanitarie, al tempo della Bindi: quante incompiute, quanti ospedali tirati su e poi lasciati andare nel nulla con uno spreco di soldi incredibile. Serve memoria».
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