Sanità 16 Settembre 2022 16:02

Elezioni, Ricciardi (Azione): «Rivedere rapporto con le regioni sulla sanità»

Il responsabile sanità di Azione, Walter Ricciardi, chiede nuovi contratti di lavoro e programmi straordinari di assunzione: «Gli operatori sanitari sono l’unica categoria che ha perso potere d’acquisto in maniera così massiccia dal 2004»

È stato uno dei protagonisti della stagione della pandemia, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza. Oggi Walter Ricciardi, professore d’Igiene e Medicina preventiva alla Cattolica di Roma, è il responsabile sanità di Azione e ha contribuito all’estensione del programma salute del partito di Carlo Calenda. «I professionisti della sanità sono stati letteralmente degli eroi durante la pandemia, ma non si può contare sempre sull’eroismo per garantire assistenza sanitaria a 60 milioni di cittadini italiani. Bisogna puntare sul personale con nuovi contratti di lavoro e con programmi straordinari di assunzione», spiega a Sanità Informazione.

Nel programma di Azione, che in questa tornata concorre in alleanza con Italia Viva, c’è anche spazio per un programma straordinario di recupero delle liste di attesa, che con l’emergenza Covid hanno subito un ulteriore rallentamento, e ampio spazio è dato al tema della governance, laddove per Azione è necessario rivedere il rapporto tra Stato centrale e regioni sul tema della sanità. Nel programma anche l’impegno a stanziare non meno del 3% del Fondo Sanitario Nazionale alla ricerca e l’idea di istituire una “Protezione civile sanitaria” con volontari e professionisti addestrati al contrasto delle pandemie.

Professore, durante la pandemia sono emersi tutti i limiti del regionalismo sanitario. Forse è tempo di cambiare qualcosa nella gestione della sanità?

«La soluzione radicale sdarebbe il cambiamento della Costituzione. Questa oggi attribuisce allo Stato solo tre poteri: programmazione, controllo e finanziamento. Non entra nella gestione che è nel potere delle regioni. Noi non vogliamo la ricentralizzazione, non sarebbe auspicabile. Vogliamo la possibilità di un rapporto diverso tra centro e periferia, lasciando alle regioni tutta una serie di responsabilità ma soprattutto garantendo al centro di poter intervenire quando le cose non vanno bene. Se le cose vanno bene non c’è bisogno che il ministero, l’ISS, Aifa e Agenas intervengano. Ma se le cose vanno male per i cittadini, se i cittadini non riescono ad accedere ai servizi, ai farmaci, se aspettano ore nei Pronto soccorso, se non riescono a curare i propri cari allora bisogna intervenire perché il diritto alla salute è un diritto sancito dalla Costituzione come un diritto umano fondamentale e deve essere garantito. C’è una differenza di aspettativa di vita alla nascita fino a quattro anni tra chi nasce nel Sud e chi nasce nel Nord. La situazione sta diventando grave anche al Nord: i problemi della crisi energetica, dell’inflazione, dell’organizzazione stanno cominciando a colpire anche chi era rimasto esente. Le scene dei Pronto soccorso con le lunghe attese si stanno verificando in tutta Italia. Noi dobbiamo intervenire per correggere questo squilibrio non centralizzando ma dando potere consentendo allo Stato di intervenire quando le cose non vanno».

C’è un oggettivo problema di remunerazione dei professionisti della sanità: fanno un lavoro importante ma vengono pagati poco. Cosa si può fare?

«Si può fare un contratto di lavoro che dia ai medici e agli infermieri e a tutti gli operatori sanitari uno stipendio decente. Oggi gli stipendi sono totalmente inadeguati agli studi che fanno, al fatto che devono essere costantemente aggiornati, ai sacrifici che fanno. È l’unica categoria che ha perso potere d’acquisto in maniera così massiccia dal 2004, è l’unica categoria che si trova a lavorare sempre in condizioni difficili. Sono stati letteralmente degli eroi durante la pandemia, ma non si può contare sempre sull’eroismo per garantire assistenza sanitaria a 60 milioni di cittadini italiani. Bisogna puntare sul personale con nuovi contratti di lavoro, con programmi straordinari di assunzione. I soldi li troviamo attraverso la volontà politica e attraverso il MES sanitario, un programma che da tempo la Commissione europea ha allocato, che ci consentirebbe di avere 37 miliardi che potrebbero mettere in sicurezza il nostro sistema sanitario. Non solo il personale ma anche le tecnologie, l’organizzazione e la logistica».

Nel vostro programma c’è un piano straordinario per recuperare le liste di attesa. Qual è la ricetta?

«Se tu investi in questo settore, se tu gestisci bene questi investimenti, perchè non basta mettere più soldi, li devi anche gestire adeguatamente. Più risorse e una gestione oculata contribuiscono ad abbassare le liste di attesa. Serve poi più personale e più risorse sul territorio in maniera tale che i cittadini possono accedere alle strutture, non necessariamente quelle più vicine a casa ma quelle che garantiscano la migliore qualità delle cure».

 

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