Il Segretario della Lega a Sanità Informazione: «I camici bianchi non vogliono essere burocrati e passacarte. È una follia che l’Italia sia il primo esportatore di medici in Europa, vista la carenza di organico. Quello del medico è una professione d’amore, ma in questo momento è difficile farlo»
È militante della Lega Nord da 27 anni. Nel 1993 viene eletto consigliere al Comune di Milano. Dopo un’esperienza di due anni come deputato presso il Parlamento Europeo ritorna al consiglio comunale della sua città. Viene eletto deputato alla Camera, ma nel 2013 si dimette per tornare all’Europarlamento. Nello stesso anno viene eletto segretario della Lega. Domenica prossima Matteo Salvini si presenta alle elezioni politiche come il candidato premier del suo partito. Corre per il Senato nel plurinominale e da capolista in Calabria 1, Lazio 1 (Roma), Lombardia 4 (Milano), Liguria 1, Sicilia 2 (Catania, Messina, Acireale e Siracusa). Come su tutti gli argomenti che ha affrontato sin da prima dell’inizio della campagna elettorale, anche sulla sanità ha idee chiare e proposte concrete, che vanno dal rafforzamento di un sistema privato al fianco di quello pubblico alla formazione dei medici, passando per la medicina difensiva ed il ruolo degli infermieri. Sanità Informazione lo ha incontrato al convegno “Confcommercio incontra i leader”.
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Onorevole, c’è un tema di cui si è parlato pochissimo in questa campagna elettorale: la sanità. In quanto leader della Lega, cosa propone per il futuro del mondo sanitario e cos’è che non va in questo momento?
«Noi vogliamo ridare centralità al ruolo del medico, che non vuole fungere da passacarte, da burocrate, da compilatore di ricette. Vogliamo riaprire l’accesso alle specializzazioni alle migliaia di laureati che, non potendo accedere alle specializzazioni, o fanno altro o vanno altrove. L’Italia è il primo Paese esportatore di medici in Europa e mi sembra una follia, vista la carenza di organico in alcune strutture. Vogliamo rivedere la procedura di accesso ai pronto soccorso e soprattutto i costi standard in sanità, che rappresentano circa il 70% delle spese regionali, per reinvestire gli sprechi in qualità e in riqualificazione. Stiamo morendo di medicina difensiva, visto che sembra che il medico sia responsabile di tutto quello che accade al mondo, e quindi per non rischiare di sbagliare smette di fare il medico e troppo spesso fa il burocrate. Io penso invece che quello del medico sia certamente un lavoro, ma anche una passione, una professione d’amore, e in questo momento è difficile farlo. Non entriamo poi nel merito degli infermieri e degli OSS perché è un altro capitolo: sono fra le eccellenze italiane nel mondo ma anche loro spesso e volentieri sono costretti a scappare per motivi di stipendio mentre nelle nostre strutture sanitarie residenziali abbiamo gente che a mala pena parla l’italiano».
Lei ha parlato spesso del modello lombardo, pensa che sia esportabile in tutta Italia?
«A me interessa la qualità del servizio, da amministratore e da cittadino. Secondo me un mix pubblico – privato è fondamentale, non solo in sanità ma anche nella scuola. Il pubblico da solo non può fare tutto, né in ospedale né nell’insegnamento; il tutto privato o il tutto pubblico ha dimostrato di non funzionare. Visto che la Lombardia dal punto di vista sanitario attrae pazienti da tutte le altre regioni italiane, costretti a praticare il nomadismo o il turismo sanitario pagando di tasca loro, ma è attrattiva anche a livello europeo, evidentemente mi piacerebbe che quello che funziona a Milano funzionasse anche a Reggio Calabria».