Nel corso delle audizioni in Senato, il presidente del sindacato Nursing Up Antonio De Palma chiede l’istituzione di una “Convenzione nazionale” sul modello dei medici di famiglia. Per il presidente del maxi ordine delle professioni sanitarie Alessandro Beux il territorio va rafforzato anche con altre figure professionali che garantiscano un ampio ventaglio di prestazioni, dalla riabilitazione alla diagnostica
Entrano nel vivo le audizioni presso la Commissione Sanità del Senato sul Ddl 1346 (a prima firma Gaspare Marinello, senatore M5S) che istituisce l’infermiere di famiglia, figura professionale tornata di grande attualità con l’emergenza Covid-19 tanto che nel Dl Rilancio è prevista l’assunzione di 9600 unità di personale. Da Alessandro Beux (presidente FNO TSRM PSTRP) e Antonio De Palma (presidente Nursing Up) sono arrivate preziose indicazioni su come strutturare questa nuova figura professionale.
«Siamo convinti che vada ribaltato il paradigma: la sanità va erogata prioritariamente sul territorio e a domicilio – ha ricordato Beux -. L’ospedale dovrebbe essere il luogo nel quale le persone entrano temporaneamente, lasciando il flusso della sanità territoriale e domiciliare, per curare le acuzie. In questo quadro, guardiamo con favore a un atto normativo che vuole implementare il territorio con l’ingresso dell’infermiere riconoscendogli le competenze che gli sono proprie».
Beux ha però ribadito che l’infermiere di famiglia è solo il primo passo per il rafforzamento della sanità territoriale e domicliare che deve passare anche per l’inserimento di altre figure professionali che garantiscano attività diagnostica territoriale e a domicilio, attività di prevenzione ed educazione, attività assistenziali, riabilitative (logopedisti, fisioterapisti) e nutrizionali (dietista).
Il presidente del maxi ordine delle professioni sanitarie ha chiesto di chiarire se nel Ddl in questione con infermiere di famiglia si intenda «una figura professionale oggi non esistente o se invece si fa riferimento a una specializzazione dell’infermiere».
Nel primo caso «l’impostazione dovrebbe essere più simile a quelle dei profili professionali normati a metà anni ’90. Non bisogna dimenticare l’iter normativo che è previsto per l’individuazione di figure professionali, cioè quello della legge 3 del 2018, articolo 6».
Diversa invece la fattispecie del secondo caso, quella secondo cui l’infermiere di famiglia è inteso come una specializzazione della figura dell’infermiere: «In questo caso – spiega Beux – bisogna valutare o rivalutare le eventuali sovrapposizioni che potrebbero determinarsi tra i contenuti dell’articolo 4 lettera b del Ddl e il profilo professionale dell’assistente sanitario. Ci sono sovrapposizioni anche da un punto di vista terminologico con il Decreto ministeriale del 1997 che istituisce questa figura».
Il presidente della FNO TSRM e PSTRP ha poi ricordato l’esperienza dell’azienda per cui lavora, la Città della Salute di Torino, dove l’ospedalizzazione a domicilio è realtà già da molti anni. «Alcuni pazienti sono ricoverati a casa ma è come se occupassero un posto letto nella struttura. Questo dimostra che il potenziamento del territorio si può fare e funziona. Dobbiamo spostare il baricentro sul territorio e lasciare all’ospedale ciò che gli è proprio, la cura temporanea delle acuzie».
Il presidente del sindacato Nursing Up Antonio De Palma è entrato invece nel vivo di due questioni cruciali: la contrattualizzazione di questa figura e le competenze.
«Il Ddl è fondamentale non tanto per la categoria che rappresento quanto per i cittadini – ha premesso De Palma -. Ma bisogna stare attenti: con il Dl Rilancio sono state autorizzate le assunzioni di otto infermieri di famiglia ogni 50mila abitanti prima ancora che venisse creata la norma che disciplini chi è e cosa fa l’infermiere di famiglia».
Secondo De Palma «il rischio, senza una norma quadro nazionale, è che 21 Sistemi sanitari regionali possano utilizzare questo professionista nel modo più disparato e che non esisterà un professionista con le stesse competenze in tutta Italia. Il modello di riferimento è quello degli MMG: i medici di famiglia sono normati in modo tale da garantire ai cittadini determinati diritti e determinate prerogative indipendentemente dal territorio in cui risiedono. Il Ddl 1346, con l’intento di favorire un complesso integrato e coordinato di prestazioni finalizzate alla tutela globale della salute, parla esclusivamente di assistenza domiciliare: ma perché parlare solo di assistenza domiciliare quando noi ci riferiamo a un infermiere che può erogare un complesso integrato di prestazioni che possiamo definire assistenza primaria?».
In questo modo per De Palma si «limita l’attività dell’infermiere che invece può spaziare alla formazione, alla consulenza sanitaria e a tutta una serie di attività che sono nell’assistenza primaria ma non nell’assistenza domiciliare. Allarghiamo l’alveo di riferimento di questa figura».
Secondo De Palma l’infermiere di famiglia «dovrebbe avere la responsabilità di avere un proprio ambulatorio dove garantire determinate prestazioni che vanno dalle medicazioni a quelle più complesse. Serve una norma di collegamento con il Dl Rilancio attraverso la quale viene previsto che le risorse umane che saranno assunte vadano a realizzare la figura dell’infermiere di famiglia. Serve – conclude De Palma – una Convenzione nazionale per l’infermiere di famiglia. Sarebbe inimmaginabile un contratto analogo a quello dei dipendenti del Ssn, che non ha nulla a che vedere con quello che andrà a fare questa figura».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO