Il testo, che viene ripresentato ad ogni legislatura dalla senatrice Maria Rizzotti (Forza Italia) prevede l’introduzione del reato di istigazioni ad anoressia e bulimia e il riconoscimento dei disturbi del comportamento alimentare come malattia sociale. «Istigare qualcuno a non mangiare equivale a istigarlo al suicidio» spiega Rizzotti
Ad ogni inizio legislatura, dal 2009, è uno dei primi disegni di legge ad essere depositato. Non demorde la senatrice azzurra Maria Rizzotti, che da anni si occupa dei problemi legati ai disturbi del comportamento alimentare e in particolare di anoressia e bulimia. Ora, il suo disegno di legge è stato assunto come testo base e potrebbe avere un primo disco verde dalla commissione Sanità di Palazzo Madama. Si tratta di una vera emergenza sanitaria e sociale, che ogni anno costa la vita a 4mila persone: spesso giovani, ma colpiscono anche in età adulta.
Si tratta di un disegno di legge piuttosto articolato, che non prevede solo disposizioni in materia di prevenzione e di cura ma interviene sul codice penale con introduzione dell’articolo 580-bis concernente il reato di istigazione al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare.
In sostanza, l’obiettivo è contrastare la diffusione dei siti «pro Ana» (personificazione dell’anoressia) e «pro Mia» (analogo appellativo utilizzato per la bulimia), tragica moda nata negli Stati Uniti d’America, per il cui tramite milioni di giovanissimi in tutto il mondo attraverso siti, blog e chat, incitano e diffondono comportamenti anoressici e bulimici di origine nervosa. Sotto accusa gli oltre 300mila siti che, in Italia, danno consigli pratici per il perseguimento ossessivo e compulsivo della perdita di peso, ricorrendo a pratiche di restrizione alimentare prolungata, tali da provocare l’anoressia o la bulimia nervosa.
«Ad ogni inizio della legislatura il primo giorno in cui riaprono gli uffici ripresento questo disegno di legge – spiega la senatrice Rizzotti a Sanità Informazione –. All’epoca erano tempi un po’ precoci perché il governo, le istituzioni si rendessero conto di quanto sia grave questa malattia. Abbiamo più di tre milioni e mezzo di persone che ne soffrono, ma il sommerso non è quantificabile».
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