Il presidente del Consiglio ha illustrato in Senato le linee programmatiche del nuovo esecutivo. In sanità ha parlato di «casa come principale luogo di cura» rafforzando «l’assistenza domiciliare integrata». Sui vaccini: «Guardare a paesi che si sono mossi più rapidamente»
«Oggi l’unità non è un’opzione ma un dovere guidato da ciò che ci unisce tutti, l’amore per l’Italia». Si è concluso con un richiamo al senso del dovere e al patriottismo il lungo intervento (quasi un’ora) del Presidente del Consiglio Mario Draghi in Senato per presentare le linee programmatiche del nuovo esecutivo. Affiancato dal ministro dello Sviluppo Economico, il leghista Giancarlo Giorgetti, e dal Cinque Stelle Stefano Patuanelli, titolare dell’Agricoltura, Draghi ha tracciato un impianto programmatico ambizioso incentrato sui temi economici: aveva l’arduo compito di ottenere il gradimento dell’eterogenea maggioranza che lo sostiene senza scontentare nessuno.
Il lungo applauso finale – con tanto di standing ovation – sembra indicare un successo, nonostante il suo richiamo all’irreversibilità dell’euro e al ruolo dell’Europa che potrebbe aver scontentato l’ala più sovranista della maggioranza. «Prima di ogni appartenenza viene il dovere della cittadinanza», ha ricordato l’economista che poi ha sottolineato: «La durata dei governi è stata mediamente breve nel nostro Paese ma conta la qualità delle decisioni. Il tempo del potere può essere sprecato nella sola preoccupazione di conservarlo».
Tra una citazione di Cavour e una di Papa Francesco, Draghi ha insistito molto sulla necessità di fare riforme che vadano al di là dell’urgenza del momento: in primis quella fiscale («non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta») ma anche interventi sulla scuola, sul mondo del lavoro, sulla pubblica amministrazione e sulla concorrenza. E poi il tema della transizione ecologica, a cui ha dedicato un ministero ad hoc. Nel tracciare il quadro difficile della situazione economica ha ricordato l’aumento della povertà e delle diseguaglianze nell’ultimo anno e che «il sistema di sicurezza sociale è squilibrato non proteggendo a sufficienza lavoratori autonomi e a tempo determinato».
I passaggi che forse hanno unito di più sono quelli sulla responsabilità di lasciare alle nuove generazioni un Paese migliore: «La mia generazione ha fatto per i nostri figli e i nostri nipoti tutto quello che i nostri nonni e padri hanno fatto per noi? Esprimo l’auspicio che il desiderio di costruire un futuro migliore orienti saggiamente le nostre decisioni».
Diversi i passaggi sulla sanità: dal piano vaccini al rafforzamento della medicina del territorio. Il Presidente del Consiglio ha più volte ribadito la linea europeista e atlantista dell’esecutivo (su questo nessuno si aspettava sorprese) e ha auspicato un dialogo più intenso con Washington.
«Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. Il governo dovrà proteggere tutti i lavoratori ma alcune attività economiche dovranno cambiare. La scelta di quale attività proteggere e quali accompagnare al cambiamento sarà il compito difficile della politica» ha sottolineato Draghi.
Sul Next Generation UE Draghi ha assicurato che non sarà stravolto quanto prodotto dal governo precedente ma saranno rafforzati gli obiettivi strategici. La governance sarà «incardinata nel MEF con strettissima collaborazione con i ministeri competenti. Il Parlamento sarà costantemente informato».
Nel rimarcare che il governo non è guidato da alcuna formula politica, Draghi ha spesso sentito l’esigenza di fare un richiamo alla “responsabilità nazionale” in primis per affrontare in modo compatto il Sars-CoV-2. «Dobbiamo combattere con ogni mezzo pandemia e salvaguardare le vite dei nostri concittadini. Il virus è nemico di tutti» ha sottolineato il premier.
All’inizio del discorso, ha voluto quasi scusarsi della vicenda degli impianti di sci chiusi a poche ore dalla programmata riapertura: «Ci impegniamo ad informare con ampio anticipo i cittadini di ogni cambiamento delle regole».
Draghi ha dunque ricordato i drammatici numeri del Covid in Italia: «Da quando è esplosa l’epidemia ci sono stati 92.522 morti, 2.725.106 cittadini colpiti dal virus. In questo momento sono 2.074 i ricoverati in terapia intensiva. Ci sono 259 morti tra gli operatori sanitari e 118.856 sono quelli contagiati, a dimostrazione di un enorme sacrificio sostenuto con generosità e impegno. Cifre che hanno messo a dura prova il Sistema sanitario nazionale, sottraendo personale e risorse alla prevenzione e alla cura di altre patologie, con conseguenze pesanti sulla salute di tanti italiani».
Il Presidente del Consiglio ha voluto ricordare anche il crollo dell’aspettativa di vita: fino a 4-5 anni nelle zone di maggior contagio, un anno e mezzo-due in meno per tutta la popolazione italiana: «Un calo simile non si registrava in Italia dai tempi delle due guerre mondiali».
Poi ha enunciato la sua visione della sanità del futuro, un quadro che non si discosta molto da quello dell’esecutivo precedente: «Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria). È questa la strada per rendere realmente esigibili i “Livelli essenziali di assistenza” e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative».
Nella visione di Draghi, dunque, la medicina del territorio dovrebbe finalmente decollare lasciando agli ospedali solo le acuzie: «La casa come principale luogo di cura è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata».
Nessuna novità di rilievo sui progetti in Sanità del Next Generation UE: serviranno a porre le basi «per rafforzare la medicina territoriale e la telemedicina».
In merito al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Draghi ha indicato un orizzonte temporale più ampio: «Il programma – ha spiegato – indicherà obiettivi per il prossimo decennio, con tappa intermedia per il 2026, fine del Next Generation. Ma dobbiamo dire a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050».
Parte importante del discorso programmatico di Draghi è stata dedicata al piano vaccini su cui il Presidente del Consiglio vuole imporre un cambio di rotta.
«Gli scienziati in soli 12 mesi hanno fatto un miracolo: non era mai accaduto che si riuscisse a produrre un nuovo vaccino in meno di un anno», ha ricordato Draghi – La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente. Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private».
Poi Draghi ha invitato a guardare alle esperienze dei paesi che sono avanti: «Facendo tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati. E soprattutto imparando da Paesi che si sono mossi più rapidamente di noi disponendo subito di quantità di vaccini adeguate. La velocità è essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus».
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