Sanità 1 Marzo 2018 15:51

Paolo Anibaldi (PD): «Puntiamo su deospedalizzazione, case della salute e telemedicina»

Il candidato alla Camera dei Deputati nel collegio di Rieti è stato il primo chirurgo ad operare in carrozzina. «In quanto Direttore sanitario della Asl di Rieti ho acquisito competenze nell’organizzazione dei servizi. Anche per questo il PD mi ha candidato»

Paolo Anibaldi è il primo chirurgo d’Italia ad aver operato in carrozzina. Alla professione medica ha sempre affiancato l’impegno in politica, che lo ha portato ad essere candidato alla Camera dei Deputati nel collegio di Rieti con il Partito Democratico. È stato infatti sindaco di Castel Sant’Angelo, un paese di 1300 abitanti nella provincia reatina, tristemente conosciuto perché cratere del sisma del 2016. Appena saputo della candidatura, si è dimesso da Direttore sanitario della Asl di Rieti, incarico che ricopriva da soli nove mesi. Sanità e disabilità sono i punti forti dei suoi buoni propositi, tra cui non mancano lo sport, il turismo e la promozione dell’agroalimentare.

«Mi piacciono le sfide» scrive il dottor Anibaldi sul suo sito: «Ho accettato la sfida di candidarmi perché stare a guardare quando si ha la possibilità di fare non è un modo di vedere che mi appartiene: sarebbe in contraddizione con la mia storia personale».

Dottor Anibaldi, qual è il contributo, da chirurgo, che pensa di poter portare in politica?

«È vero che 26 anni della mia vita ho svolto l’attività di chirurgo oncologo e senologo, però è anche vero che negli ultimi nove mesi ho svolto le funzioni di direttore sanitario aziendale nella Asl di Rieti e mi sono occupato prevalentemente di riorganizzazione dei servizi sanitari. È anche per le conoscenze e competenze acquisite in questi mesi che il Partito Democratico mi ha chiesto di candidarmi: ad esempio, mi sono occupato dell’organizzazione dei servizi del territorio e, purtroppo, anche di riattivare i servizi nell’area del cratere sismico».

Quali sono, secondo lei, le priorità da affrontare in ambito sanitario?

«Le cose da fare in sanità sono molte. Io credo che dobbiamo puntare molto sulla deospedalizzazione e sulla creazione di case della salute, portando sul territorio tutti i servizi che sono esportabili e avvicinando in questo modo i servizi ai cittadini. Se lasciamo negli ospedali tutto il trattamento dei malati acuti, comprese chiaramente l’emergenza e l’urgenza, si decongestionano le eccellenze e i centri di alta cura. Poi per quanto riguarda le aree interne credo sia fondamentale passare definitivamente all’attuazione della telemedicina che è chiaramente un modo per ridurre i costi ma anche, e soprattutto, i disagi per i cittadini».

Per concludere, nonostante la sua disabilità opera in piedi. Ci spiega com’è avvenuto questo passaggio? 

«Sì, opero da molti anni in piedi, precisamente dal 1997. La mia storia è abbastanza particolare: un artigiano mi ha costruito una sedia particolare perché io potessi stare in piedi. L’incontro fu casuale, in un ambulatorio, e lui vedendomi in carrozzina si pose la domanda se fosse o meno opportuno che io operassi in piedi. A me venne quasi da ridere perché pensavo volesse scherzare. Però poi dopo dieci giorni ho avuto una sedia e da lì è cominciata tutta un’altra storia».

 

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