La Conferenza delle Regioni ha dato il via libera, unanime, al documento di programmazione 2019-2021 che attende ora soltanto il passaggio formale della Conferenza Stato-Regioni
Raggiunta l’intesa sul Patto per la Salute. La Conferenza delle Regioni ha dato il via libera, unanime, al documento di programmazione 2019-2021 che attende ora soltanto il passaggio formale della Conferenza Stato-Regioni, convocata a seguire dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia al Palazzo della Stamperia.
Ad annunciarlo è stato il vice presidente della Conferenza delle Regioni Giovanni Toti, sottolineando che «è stata una riunione positiva, in cui le regioni si dimostrano pungolo per il governo in questa lunga trattativa sul Patto ma altrettanto hanno dimostrato concretezza ed equilibrio nel raggiungimento e nella condivisione dei risultati. In Stato-Regioni daremo l’intesa, non ci dovrebbero essere cambiamenti nel testo. Abbiamo dato un’intesa piena con alcune modifiche concordate con il governo».
Spiega ancora Toti: «Abbiamo investimenti importanti sull’edilizia ospedaliera e sanitaria e sul rinnovo del parco tecnologico, entrambi coperti da procedura semplificata in caso di urgenza, molto importante date le lungaggini delle nostre gare per acquisizione materiali e progetti di edilizia sanitaria».
Dunque, «siamo particolarmente soddisfatti. Se poi aggiungiamo anche il riparto sull’istruzione 0-6 anni, l’accordo sul ‘care giver’ familiare e l’intesa sulla rappresentanza regionale nel Comitato Regioni a livello Ue, direi che è stata davvero una bella riunione di fine anno, con le Regioni che si dimostrano interlocutrici talvolta rigorose ma sempre costruttive nei confronti di tutti i governi che si sono trovate davanti».
«Il Patto sancisce il notevole incremento delle risorse destinate alla sanità: 114.474.000.000 euro per l’anno 2019, 116.474.000.000 euro per l’anno 2020 e in 117.974.000.000 euro per l’anno 2021. A tutto ciò va aggiunto quanto previsto dalla Legge di Bilancio con un incremento, dopo i 4 miliardi gia’ previsti per il 2019, di 2 miliardi per gli investimenti per l’edilizia sanitaria e l’aumento di 1,5 miliardi di quelli per l’ammodernamento tecnologico». Ha spiegato Stefano Bonaccini commentando l’esito della Conferenza delle Regioni. «Siamo di fronte ad un punto di partenza che segna un’inversione di tendenza e che va letto in modo inequivocabile come un rilancio della sanita pubblica e del diritto alla salute definito in modo puntuale dalla Costituzione. Un risultato che dobbiamo anche all’impegno del Governo ed in particolare del Ministro della Salute Roberto Speranza, del Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, e del Ministro dell’Università, Lorenzo Fioramonti».
Soddisfatto anche il presidente della Regione Molise, Donato Toma. Il governatore ha parlato di «un grande risultato», elencando i punti cardine dell’accordo: revisione del Balduzzi (dm 70/2015) anche con deroghe per piccole Regioni, nuove linee guida sui commissariamenti, riesame delle procedure commissariali d’intesa con le Regioni interessate anche alla luce degli ultimi indirizzi della Consulta.
«Le modifiche riguardano soprattutto alcuni temi del personale», ha spiegato ancora l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato. «In riferimento all’uso degli specializzandi al terzo anno, alla possibilità su base volontaria di mantenere in servizio il personale con 40 anni di attività. Due richieste fatte dalle Regioni, e per noi è importante che siano state condivise. C’è l’assenso da parte dei ministeri, quindi a breve andremo a chiudere l’accordo in Conferenza Stato-Regioni. Dalle verifiche che abbiamo fatto non ci sono ostacoli. Tra le Regioni oggi presenti c’è stata concordia. C’è stata in extremis anche una richiesta dalla Regione Calabria, che è stata accolta – ha concluso D’Amato – sulle modalità di uscita dai piani di rientro vengano valutati anche degli affiancamenti per le Regioni più in difficoltà. Sulla farmaceutica? Non abbiamo parlato di tetti, è quello che è previsto dal testo».
LE REAZIONI
FNOPI – «La professione fa un altro passo avanti nel suo cammino, entra nelle case delle persone, contrasta le disuguaglianze soprattutto nelle aree interne e garantisce un’assistenza territoriale accessibile soprattutto a una popolazione che invecchia e presenta sempre più cronicità e disabilità, con la necessità di soddisfare bisogni di assistenza complessi che gran parte delle famiglie non può affrontare da sola. Ed è una ulteriore conferma dell’assistenza universalistica, equa e omogenea su tutto il territorio che sia la Costituzione, sia la stessa legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale promettono ai cittadini». Così Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche.
«Ringraziamo il ministro della Salute e le Regioni – aggiunge – per aver accolto la richiesta della Federazione di innovare il Ssn attraverso l’introduzione dell’infermiere di famiglia/comunità, scegliendo la vera strada della multidisciplinarietà e dell’integrazione tra professionisti per rendere effettiva un’assistenza sul territorio che finora è spesso mancata proprio nei settori più delicati, come quello dell’assistenza agli anziani, ai malati cronici, ai non autosufficienti. Con questa scelta l’Italia si allinea alle indicazioni dell’Oms che fino dal 1998, nel documento salute per tutti nel 21° secolo, sostenuto dall’Unione Europea per il raggiungimento degli obiettivi di salute fondamentali allo sviluppo dell’intera società, aveva indicato la necessità dell’infermiere di famiglia/comunità».
CITTADINANZATTIVA – «Esprimiamo soddisfazione perché le Regioni hanno accolto l’appello rivolto dalla nostra organizzazione insieme a decine di realtà del mondo civico, sottoscrivendo il Patto per la Salute e evitando così il rischio di vedere sfumare 3,5 miliardi di nuove risorse». Questo il commento di Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva.
«Tra gli elementi importanti, la previsione di linee guida per migliorare la comunicazione, la trasparenza e il coinvolgimento dei cittadini in ambito sanitario. È stata infatti da noi più volte avanzata la necessità di ridare centralità alla partecipazione dei cittadini, anche attraverso la condivisione di una Matrice specifica per la messa a punto di processi partecipativi di qualità ed efficaci. In secondo luogo, il Patto punta a promuovere una maggiore omogeneità ed accessibilità dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria a livello territoriale. Chiediamo che si avvii subito il lavoro sulla definizione di un modello di riferimento per i servizi territoriali perché è la sfida centrale del SSN su cui si gioca una concreta ed efficace lotta alle disuguaglianze in ambito sanitario. In terzo luogo, un significativo traguardo del nuovo Patto è previsto nel superamento di una logica ottusa e limitante dei tetti di spesa, a cominciare dalle risorse per il personale, per le quali è previsto un incremento della percentuale di spesa dal 5% al 10% nel triennio 2020-2022, con la possibilità di un graduale aumento sino al 15 per cento. Sarà nostro impegno – ha quindi concluso Gaudioso – a partire da domani, verificare che il Patto venga poi effettivamente applicato».
SINDACATO MEDICI ITALIANI – «Il Patto della Salute appena approvato della Conferenza delle Regioni è un provvedimento con luci ed ombre» ha dichiarato di Pina Onotri, Segretario Generale del Sindacato Medici Italiani, nel commentare il varo del Patto della Salute 2019-2022 alla Conferenza delle Regioni. «Vi è l’impegno di aumentare la spesa per il personale in tre anni, con alcune misure che potranno favorire l’assunzione di un migliaio di nuovi contratti per medici specialisti e altre misure finalizzate all’assunzione di personale. Allo stesso tempo giudichiamo positivo la revisione della normativa sul super ticket con la sua abolizione nel corso del prossimo anno di quello sulle prestazioni specialistiche».
«Non ci convince, invece, quanto previsto per la riorganizzazione delle cure primarie. Il processo di riordino della medicina generale – continua Onofri – se ci dovrà essere, deve, necessariamente, prevedere risorse certe per i rinnovi contrattuali dei MMG. Questa scelta non è più rinviabile a forte della cronica carenza di medici di famiglia, unitamente al fenomeno dell’emigrazione di giovani professionisti all’estero. In questa direzione ci aspettavamo che nel Patto della Salute fosse contemplata la necessità di una revisione del sistema di formazione anche per i medici di medicina generale, prevedendo l’istituzione di una scuola di specializzazione ad hoc. Sulla carenza di medici occorrerebbero scelte di fondo come, ad esempio, un piano straordinario di assunzioni in tutto il paese ed è mancato il coraggio di investire sul medico di MMG come regista della offerta sanitaria per i cittadini».
NURSING UP – «L’infermiere di famiglia è una figura insostituibile e di cruciale importanza in quanto riveste un ruolo chiave nella sanità del futuro, soprattutto per quanto riguarda le cronicità e la qualità della vita della comunità tutta: ne accogliamo con favore l’introduzione al livello nazionale tramite il Patto per la Salute che preveda questa figura accanto ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta, agli specialisti ambulatoriali e ai farmacisti. Ora aspettiamo di essere convocati per andare a discutere della struttura che l’organizzazione sanitaria dovrà darsi anche in termini contrattuali per regolamentare questo tassello fondamentale dell’assistenza ai cittadini». Così il presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up Antonio De Palma commenta l’approvazione del Patto per la Salute.
«Con l’inserimento a tutti gli effetti nel nostro Servizio Sanitario Nazionale di questa preziosa figura dell’infermiere di famiglia e di comunità – aggiunge il presidente Nursing Up – si colma finalmente un gap tra l’Italia e gli altri paesi europei. Siamo certi che la scelta operata dal ministro della Salute, oltre a costituire un importante riscontro alle nostre reiterate richieste, rappresenti il viatico per intervenire su quel gran numero di ricoveri impropri che aggravano il SSN e costringono le persone a chiedere di essere accolte in ospedale per beneficiare di prestazioni che un infermiere di famiglia è perfettamente in grado di garantire. Finalmente viene garantito – ribadisce De Palma – uguale diritto di assistenza a tutti coloro che ne hanno bisogno. Ora occorrerà presidiare affinché la nuova figura professionale abbia un adeguato e dignitoso riconoscimento contrattuale».