In Commissione Cultura i rappresentanti di medici, infermieri, veterinari e farmacisti. Cicolini (Fnopi): “Possibile abolizione test ma servono investimenti per garantire formazione di qualità”. Ora le varie proposte di legge passano all’esame del Comitato dei nove, organo ristretto della Commissione
Medici, farmacisti, veterinari e infermieri: i rappresentati degli Ordini hanno portato oggi in Commissione Cultura e Istruzione alla Camera le loro opinioni sul tema dell’abolizione del numero chiuso. Il governo, dopo le ultime dichiarazioni sia del Ministro della Salute Giulia Grillo che del vicepremier Matteo Salvini, sembra ancora fortemente orientato a modificare la modalità di accesso alle Facoltà scientifiche, ma il percorso parlamentare sembra ancora piuttosto lungo e complesso.
Sul tema non cambia la posizione della Federazione degli Ordini dei Medici rappresentata in audizione dal vicepresidente Giovanni Leoni: parlare di abolizione del numero chiuso in presenza di un ‘imbuto formativo’ che impedisce a tanti laureati in Medicina di accedere alla specializzazione non ha senso. «Il vero problema però è la mancanza di specialisti – sottolinea Leoni a Sanità Informazione -. Posso dire che in Veneto è certificata la mancanza di 1300 specialisti. Quindi il problema si deve risolvere subito e si risolve con l’allargamento dell’offerta formativa per quanto riguarda la specializzazione. Cambiare l’accesso a Medicina è sicuramente un obiettivo ma in questo momento la priorità è sistemare diecimila-dodicimila medici laureati ma non formati e trovare un modo per aumentare gli specializzandi. Secondo l’Ansa, inoltre, in 10 anni oltre 10mila medici si sono trasferiti all’estero per lavorare, a questo si aggiungono i dati di Consulcesi Group che ha stimato che ogni anno 1500 laureati in medicina vanno via per seguire corsi di specializzazione all’estero, con grave danno economico per lo stato visto i costi della formazione».
Più possibilista invece la Fnopi, la Federazione degli ordini degli Infermieri, che però ha sottolineato la necessità di investimenti nella formazione: «L’Ordine degli infermieri è possibilista – spiega il Tesoriere Fnopi Giancarlo Cicolini -. L’unica cosa è che bisogna investire nelle infrastrutture per garantire sempre una qualità della formazione di alto livello. Inoltre c’è la grande carenza dei professori universitari: noi abbiamo un rapporto di un docente ogni 1350 studenti. C’è una grave carenza di risorse umane negli atenei. C’è bisogno di un grande cambiamenti in questa materia».
Anche per i farmacisti al momento la priorità non è l’abolizione del numero chiuso: «Ci sono troppi laureati rispetto alle necessità, come certificano anche i dati del ministero della Salute – spiega il presidente Fofi e deputato di Forza Italia Andrea Mandelli – Il tema vero è quello di dare un futuro a giovani e a famiglie che spendono tanti soldi per preparare i loro figli. Quindi il problema è morale».
Scettico anche il deputato Pd e medico Paolo Siani: «Quando ho fatto io l’università non c’era il numero chiuso. Io vedevo il professore da lontano, per avere un microscopio era un’impresa. Abolirlo senza garantire gli strumenti è una follia».
Non si arrende però il relatore del disegno di legge Manuel Tuzi, giovane medico del MoVimento Cinque Stelle: «Non stiamo affrontando solo il nodo del numero chiuso ma anche il discorso della laurea abilitante e delle scuole di specializzazione – sottolinea Tuzi -. Tutti i percorsi devono essere considerati come vasi comunicanti su cui agire contemporaneamente. Ora le valutazioni passano al Comitato dei Nove, la Commissione si restringerà e saranno prese in considerazione tutte le soluzioni possibili. Il test di Medicina va superato ma va anche rivisto il test come modalità di selezione. Bisogna cambiare le norme cercando di formare più persone possibili: la direzione è questa. Per ora non si abolirà il numero programmato a Medicina ma abbiamo visto che in altre facoltà, non solo di ambito scientifico, si può procedere all’abolizione perché il numero di domande è inferiore ai posti disponibili. Resta in campo il modello di ispirazione alla francese, ma con dei migliorativi per evitare lo strapotere dei baroni: quindi una graduatoria nazionale e un percorso che sia uguale da ateneo ad ateneo. È la proposta del capogruppo M5S Francesco D’Uva».