Il professor Midulla: “Il picco di contagi nel nostro Paese risale ai mesi estivi, con qualche ripercussione anche nelle prime settimane dell’autunno. Ma ora i casi sono decisamente diminuiti”
Mentre i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) lanciano l’allerta pertosse in America, in Italia l’epidemia sembra volgere alla battute finali. “Il picco di contagi nel nostro Paese c’è stato soprattutto nei mesi estivi, con qualche ripercussione anche nelle prime settimane dell’autunno. Ma ora i casi sono decisamente diminuiti”. A rassicurare, in un’intervista a Sanità Informazione. è Fabio Midulla, Professore ordinario di Pediatria all’Università Sapienza di Roma, responsabile del pronto soccorso dell’ospedale Umberto I e past president della Società Italiana di Malattie Respiratorie Infantili.
I dati raccolti dai Cdc fino alla settimana scorsa, invece, raccontano tutta un’altra realtà. Oltreoceano i casi di pertosse, da un anno a questa parte sono cresciuti di cinque volte, con il numero di infezioni più alto dal 2014. Ad annunciare una crescita senza precedenti dei casi della malattia è soprattutto il dipartimento alla Salute dello Stato di Washington, dove i casi di pertosse sono risultati 22mila dall’inizio dell’anno, registrando una impennata del 2000% .
La pertosse è una patologia estremamente contagiosa, causata dal batterio bordetella pertussis, viene trasmessa per via area o per contatto con le secrezioni delle persone malate. La diagnosi di sospetto della pertosse è clinica, la conferma laboratoristica si fa con una PCR per Bordetella su aspirato rinofaringeo ed esame colturale per Bordetella. La PCR per Bordetella si ottiene in tempi più brevi rispetto all’esame colturale e quindi è più utile per una diagnosi tempestiva. Nonostante questi esami offrano una diagnosi certa, non sono rari i casi in cui il sospetto della malattia viene sollevato anche a distanza di molte settimane. “Genitori preoccupati per la persistenza della tosse, soprattutto notturna, si rivolgono ad uno specialista anche dopo due mesi dalla comparsa dei primi sintomi, dopo la somministrazione, senza alcun successo, di molteplici terapie”, racconta il pediatra.
Ma non sono questi i casi che suscitano preoccupazione. “Le complicanze più gravi, come l’aumento esponenziale dei globuli bianchi e dei linfociti o una compromissione cardiaca, si manifestano soprattutto nei bambini al di sotto dei due mesi di vita, troppo piccoli per ricevere il vaccino, normalmente somministrato al terzo mese dalla nascita – spiega lo specialista -. Per questo, alle donne in gravidanza è fortemente consigliato di vaccinarsi contro la pertosse: è l’unico modo per dare alla luce bambini già dotati di anticorpi contro la malattia”.
Non è la prima volta che si verifica un’epidemia di pertosse: “Si presentano ciclicamente – spiega il professore Midulla -, soprattutto a causa delle scarse coperture vaccinali. Da un lato ci sono i bambini che arrivano in Italia da Paesi in cui il vaccino contro la pertosse non è obbligatorio, dall’altro giovani che non si sottopongono ai richiami vaccinali consigliati. Dopo la dose somministrata al terso mese di vita, infatti, c’è un primo richiamo a sei anni e poi uno ogni dieci anni. L’aderenza dai 16 anni in su cala decisamente, così come tra la popolazione adulta che non ha sviluppato un’immunità naturale alla patologia”, continua il pediatra.
“Non esiste una cura. Per questo l’unica arma a nostra disposizione contro questa patologia è il vaccino. L’uso dell’antibiotico macrolide, somministrato entro pochi giorni dalla manifestazione della malattia, può solo evitare che chi ha contratto la pertosse possa infettare altre persone. Tuttavia – conclude il professor Midulla – è piuttosto raro che la diagnosi venga effettuata così precocemente”.
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