Lavoro e Professioni 7 Maggio 2020 13:27

Assistenti sociali, Gazzi (CNOAS): «In 10 anni 3mila professionisti in meno. Cresce la povertà, va rafforzata integrazione socio-sanitaria»

Il Presidente del Consiglio Nazionale Ordini Assistenti Sociali Gianmario Gazzi racconta il ruolo degli assistenti sociali nell’emergenza Covid: «Garantiamo qualsiasi bisogno non prettamente sanitario, a cominciare dai vestiti». Poi denuncia: «In una prima fase eravamo senza Dpi, tanti di noi contagiati». E al Governo rimprovera: «Troppo poche risorse per il sociale, solo lo 0,1%»

«Le bozze che stanno girando del Decreto Maggio (già Decreto Aprile) prevedono per le politiche sociali un investimento, su un totale di 55 miliardi, pari allo 0,1%. Praticamente niente. Sono deluso dal Governo». Non usa mezzi termini Gianmario Gazzi, Presidente del CNOAS, Consiglio Nazionale Ordini Assistenti Sociali, per bocciare le politiche dell’esecutivo in tema di sociale in un momento in cui l’emergenza Covid-19 inizia ad essere affiancata, se non superata, dall’emergenza sociale scatenata dalla crisi economica post-lockdown.

Uno scenario in cui gli assistenti sociali, da sempre ‘sentinelle’ sul territorio del disagio sociale, possono giocare un ruolo essenziale, considerato anche il loro ruolo nel sistema socio-sanitario: «Ma negli ultimi dieci anni – sottolinea Gazzi a Sanità Informazioneabbiamo perso un terzo degli assistenti sociali del Sistema sanitario nazionale. Noi abbiamo chiesto un rinforzo sul territorio per avere il rapporto di un assistente sociale ogni 3500 abitanti. Oggi invece abbiamo territori che hanno un assistente sociale ogni 20mila-30mila abitanti, che è come non averlo. Rispetto al comparto sanità noi abbiamo di fronte la necessità di recuperare quello che si è perso: da 9mila siamo diventati 6mila; di questi 6mila in tutto il SSN, più di 2mila hanno più di 60 anni che con quota 100 sono prossimi alla pensione. Se noi non interveniamo rinforzando questa parte non avremo un problema solo nelle dimissioni post-Covid ma soprattutto nella prevenzione che possiamo fare in sanità. Una volta noi avevamo una rete favolosa di servizio sociale ospedaliero, oggi ormai molti ospedali non prevedono più questa figura. Se arriva una persona, Covid o non Covid, con altri problemi noi sappiamo benissimo che dobbiamo intercettarla prima, ma molto prima della dimissione per capire e prevenire la possibilità che questa persona torni ad occupare un posto in ospedale e soprattutto possa avere una qualità della vita accettabile. Teniamo conto ad esempio di un comparto specifico della salute, che è la salute mentale. Dopo due mesi chiusi in casa, le persone con questo tipo di problematiche e le loro famiglie hanno bisogno di risposte che non sono solo terapie o medicinali, ma vanno accompagnate con progetti fuori dalle strutture sanitarie. Questo lo possiamo fare se c’è un comparto sociale forte, robusto, e che abbia una propria identità e strutturazione all’interno della sanità».

LEGGI ANCHE: LA FASE 2 NEGLI OSPEDALI COVID. LA LOGOPEDISTA: «È QUESTO IL MOMENTO PIÙ DURO PER NOI RIABILITATORI»

In questi mesi di emergenza coronavirus gli assistenti sociali hanno continuato a fare il loro lavoro, con tutte le difficoltà del caso, essendo tuttavia spesso necessario recarsi al domicilio delle persone. «Gli assistenti sociali in questa emergenza sono stati in prima linea come tutte le professioni socio-sanitarie – continua il Presidente CNOAS -. Ci siamo occupati incessantemente di tutto ciò che questa situazione ha portato in mezzo alle persone, dalle dimissioni protette negli ospedali al garantire qualsiasi tipo di bisogno che non fosse prettamente sanitario anche alle persone ricoverate negli ospedali. A cominciare dai vestiti, perché le persone non potevano ricevere familiari o altre persone: spesso venivano ricoverati senza neanche avere un cambio. E ci siamo anche adoperati per andare a scovare tutte le risorse per garantire l’accoglienza di familiari che potevano essere a rischio contagio, per gestire le quarantene. Ci siamo inventati servizi domiciliari per anziani rimasti soli o affidi per bambini che avevano entrambi genitori ricoverati».

Anche tra gli assistenti sociali il numero dei contagiati è stato alto. «Devo denunciare che nella prima fase non abbiamo avuto i Dpi – sottolinea Gazzi -. Si è giustamente concentrato tutto sulle sedi ospedaliere e poi sulle RSA, ma si sono dimenticati per lunghe settimane dei servizi territoriali, degli enti locali, dei comuni. Anche oggi ho ricevuto molte selezioni di colleghi che hanno contratto il virus nelle scorse settimane. Nonostante questo abbiamo comunque presidiato il territorio garantendo le persone e l’accesso. Lo abbiamo fatto un po’ rischiando, dall’altro lato dando subito indicazione per utilizzare tutti i mezzi da remoto per i colloqui, per le valutazioni. Per facilitare le cose ci siamo inventati anche una cosa che di solito non dobbiamo fare, l’amministrativo. Qualcuno di noi ha svolto un ruolo importante di vicinanza alla popolazione continuando a fare delle visite domiciliari laddove ad esempio le persone non potevano essere raggiunte in altro modo».

Dopo l’emergenza sanitaria, si rischia però il collasso sociale dovuto alla nuova povertà. “Una bomba sociale” l’ha definita Gazzi, che ha anche scritto una lettera al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte insieme ad Alleanza contro la Povertà con un piano di azione per aiutare le persone più fragili a non restare indietro: «Le domande di aiuto alla Caritas italiana nell’ultimo mese sono raddoppiate: il 100% in più. Questo già rende l’idea. Noi abbiamo di fronte persone che perderanno il lavoro, persone che cercheranno di riavviare la propria attività senza al momento dei supporti. Provo a fare un esempio: se io devo riaprire il bar sotto casa di cui sono titolare ma nel frattempo uno dei miei genitori a seguito del Covid ha avuto un peggioramento fisico, io devo affiancare l’assistenza alla riapertura. Ma se nessuno mi darà una mano, perché ad oggi non è previsto un investimento ulteriore, dovrò scegliere se accudire l’anziano genitore o se riaprire l’attività. Questo significa anche essere consapevoli che da un punto di vista psicologico, relazionale, quella persona si troverà fortemente stressata. Noi dobbiamo far sì che queste situazioni trovino risposte. Parlo anche di chi ha figli piccoli, di chi ha un parente con disabilità. Se noi non interveniamo adesso, subito e velocemente non solo sul reddito che è un aspetto importantissimo, ma anche sulla rete di supporto e sull’integrazione socio-sanitaria, noi non andiamo da nessuna parte. Anzi rischiamo di avere la rabbia sociale che esplode».

 

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