A Tor Vergata le professioni sanitarie hanno così stilato una buona pratica per la gestione del rischio che è stata anche approvata dall’Agenas. Il dirigente Paolo Casalino: «La difficoltà era quella di creare percorsi ben definiti. Ci siamo trovati una pandemia che non sapevamo ancora come poteva evolvere»
I due anni di emergenza pandemica sono stati particolarmente difficili per i professionisti della sanità che si sono trovati a fronteggiare un virus sconosciuto e afflussi record in ospedale e negli studi medici. Una sfida che ha riguardato anche la gestione del rischio e la possibilità per gli operatori di lavorare in sicurezza: nella prima ondata Covid tanti, troppi professionisti della sanità hanno perso la vita mentre svolgevano il loro prezioso lavoro di assistenza. Ne abbiamo parlato con Paolo Casalino, presidente della commissione d’Albo dei Tecnici di Laboratorio di Roma e dirigente delle professioni sanitarie al Policlinico Tor Vergata che sottolinea l’importanza del lavoro in équipe, uno dei lasciti più importanti della vicenda pandemica.
«La nuova nomina come dirigente dell’area tecnica diagnostica assistenziale è combaciata con l’inizio della pandemia. Le criticità che abbiamo avuto come professioni sanitarie è stata quella di organizzarci per trovare la gestione in ambito di sicurezza» ha spiegato Casalino ai nostri microfoni.
Naturalmente, anche prima della pandemia la gestione del rischio è sempre stata una priorità per alcune professioni. «I tecnici di laboratorio e i tecnici di radiologia avevano già una esperienza nell’ambito della loro professione: Noi TLB lavoravamo già in laboratorio con il BLS3 e i tecnici di radiologia già gestivano pazienti con sintomatologia infettiva».
Casalino ricorda che «la difficoltà era anche quella di creare percorsi ben definiti. Noi ci siamo trovati una pandemia che non sapevamo ancora come poteva evolvere, quindi abbiamo dedicato dei laboratori esclusivamente ai tamponi Covid e lì è stato formato il personale: i test che andavamo a fare erano soprattutto quelli molecolari e non tutto il personale era formato nell’ambito di questi test. Poi ovviamente c’era la sicurezza in ambito di vestizione e svestizione e di gestione del campione infettivo».
Le professioni sanitarie hanno così stilato una buona pratica che è stata anche approvata dall’Agenas. Diverso invece il lavoro in radiologia: «Qui abbiamo avuto qualche criticità soprattutto sulla gestione del paziente: abbiamo dovuto creare due linee. Una dove andavano i pazienti Covid e una dove ancora continuavano ad arrivare pazienti non Covid. Occorrono due professionisti per gestire un paziente Covid perché c’è chi esegue l’esame e chi rimane fuori dalla sala. Lì ugualmente abbiamo avuto la problematica della vestizione e svestizione, è un momento non facile dove alcuni errori possono portare al contagio».
Non solo TSRM e TLB hanno avuto difficoltà nel gestire il rischio ed evitare il contagio. «Altri professionisti che hanno lavorato in situazioni critiche sono i perfusionisti. Molti pazienti che sono stati trattati a livello di ECMO: anche lì due tecnici, uno all’interno e uno all’esterno, per gestire il paziente. La gestione di questi pazienti non è stata facile. Così come in neurofisiopatologia: noi andavamo a fare dei test all’interno dei reparti dove c’erano pazienti positivi. I tecnici di neurofisiopatologia che andavano a fare questi test dovevano le accortezze che aveva il personale che gestiva il paziente».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato