La Presidente di AITeRP – Associazione Italiana Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica Roberta Famulari ha partecipato al primo Congresso del maxi Ordine delle professioni sanitarie: «L’intervento precoce, così come in tutti gli ambiti sanitari, ridurrebbe di gran lunga la disabilità quindi il disfunzionamento psicosociale della persona»
Si recano al domicilio delle persone con disabilità psichica per aiutarle in un percorso di riabilitazione, valutare le potenzialità del soggetto e aiutarlo ad essere il più autonomo possibile. I tecnici della riabilitazione psichiatrica, professione nata a seguito della Legge Basaglia e della chiusura dei manicomi, sono un classico esempio di professione che opera sul territorio a stretto contatto con le famiglie e le esigenze più profonde dei malati. Anche loro sono confluiti nel maxi Ordine delle professioni sanitarie TSRM e PSTRP e hanno partecipato al primo Congresso che si sé svolto a Rimini. Tra le loro istanze, quella di aumentare il numero di professionisti e di potenziare la “psichiatria di comunità” come spiega ai microfoni di Sanità Informazione Roberta Famulari, Presidente dell’AITeRP – Associazione Italiana Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica: «L’impiego del tecnico di riabilitazione psichiatrica è ancora oggi correlato alla residenzialità che è soltanto un aspetto del luogo dove si espleta la cura e la riabilitazione in psichiatrica e salute mentale. Quindi il tecnico della riabilitazione psichiatrica andrebbe maggiormente impiegato nel territorio secondo quelli che sono i principi della psichiatria di comunità».
Anche voi avete partecipato al primo Congresso della Federazione degli Ordini delle professioni sanitarie. Perché è importante per voi la creazione dell’Ordine?
«Sicuramente abbiamo aspettato tanto per il raggiungimento di questo obiettivo comune. L’Ordine è importante perché diventa un organo di tutela sia rispetto al cittadino utente sia rispetto al professionista. La sfida è anche quella di andare oltre e di contribuire ad operare una vera e propria svolta culturale attraverso l’organismo ordinistico che sia orientato verso un ente che si avvicini sempre di più proprio al cittadino, che diventi un ente di servizio, oltre che di tutela e di rappresentanza. Questa è la sfida rispetto anche al guardare avanti e al raggiungimento dell’obiettivo dell’Ordine in se stesso».
Quanto siete come popolazione professionale?
«Siamo circa 3mila professionisti. Certo adesso avere l’Ordine ci consente di avere non più solo una stima come è accaduto fino ad ora ma di avere un numero certo. Già abbiamo circa 3mila iscritti. Si suppone che ce ne siano altri secondo le stime fatte negli anni passati ma ancora il processo è in itinere quindi aspettiamo i risultati finali».
Se dovesse fare una richiesta alle istituzioni sanitarie e politiche cosa chiederebbe per la sua categoria?
«La professione è sicuramente giovane, nel senso che noi nasciamo a seguito della legge di riforma psichiatrica, della 180, che dà l’impulso al cambiamento al livello dell’organizzazione dei servizi. Prima c’era l’ospedale psichiatrico che si occupava di contenere per la maggior parte la patologia psichiatrica, il disagio in generale. Con la chiusura degli ospedali psichiatrici si dà un nuovo impulso perché la direzione è quella della cura e della riabilitazione mentre prima l’obiettivo era soltanto quello del contenimento e dell’allontanamento del paziente dai suoi luoghi di vita. Quindi la legge 180 ha aperto questa scommessa sulla curabilità. Adesso ci sono delle basi scientifiche che sostengono la curabilità e la riabilitazione di chi è portatore di una patologia psichiatrica, quindi andrebbe implementata nei servizi di salute mentale la figura del tecnico della riabilitazione. Non è soltanto una questione che riguarda la quantità dei professionisti che comunque è esigua. Un po’ questo si ripercuote come trend comune, perché in questo momento viviamo una carenza di risorse a tutti i livelli. Però l’impiego del tecnico di riabilitazione psichiatrica è ancora oggi correlato alla residenzialità che è soltanto un aspetto del luogo dove si espleta la cura e la riabilitazione in psichiatrica e salute mentale. Quindi il tecnico della riabilitazione psichiatrica andrebbe maggiormente impiegato nel territorio secondo quelli che sono i principi della psichiatria di comunità. La riabilitazione si fa soprattutto fuori, nei luoghi di vita del paziente, nei centri di salute mentale, anche in contesto residenziale. Luogo privilegiato diventa il domicilio del paziente. In questa maniera ci si avvicina alle persone che hanno un problema serio. Sappiamo che le difficoltà e la sofferenza sono accompagnate dal pregiudizio, dallo stigma che non è soltanto quello degli altri ma è anche uno stigma interiorizzato. Molto deve essere fatto rispetto alla famiglia. Il tecnico della riabilitazione affianca la famiglia nel carico sia soggettivo che oggettivo che comporta avere un congiunto con una malattia così complessa e dalle conseguenze invalidanti. Una cosa da dire è che l’intervento precoce, così come in tutti gli ambiti sanitari, ridurrebbe di gran lunga la disabilità quindi il disfunzionamento psicosociale della persona e consentirebbe una ripresa con esiti più favorevoli e quindi un recupero maggiore dei soggetti».