La presidente dell’Associazione nazionale tecnici ortopedici spiega: «Siamo l’unica figura abilitata alla messa in commercio di un dispositivo medico, sia esso una ortesi, una protesi o un ausilio. Per questo dovremmo essere nelle equipe multidisciplinari che gestiscono la fase della progettazione e dell’individuazione del bene»
Sono assenti dal panorama della sanità pubblica eppure ci sarebbe bisogno di loro negli ospedali e nelle Asl. Sia per le loro competenze, spesso molto specifiche, sia per evitare potenziali conflitti di interesse. Parliamo dei tecnici ortopedici, una delle professioni confluite nel maxi Ordine delle professioni sanitarie TSRM e PSTRP che ha celebrato a Rimini il primo Congresso nazionale. Ne abbiamo parlato con Silvia Guidi, Presidente ANTOI, Associazione nazionale tecnici ortopedici, una delle associazioni maggiormente rappresentative della categoria, che ci ha spiegato il delicato ruolo del tecnico ortopedico che è «l’unico professionista sanitario abilitata alla messa in commercio di un dispositivo medico, sia esso una ortesi, una protesi o un ausilio». Una responsabilità che lo rende centrale nel processo di progettazione della protesi ma che lo espone anche a diversi inconvenienti. Questi professionisti, che lavorano quasi esclusivamente nel privato, avrebbero invece motivo di essere inseriti nel Sistema sanitario pubblico, secondo la presidente ANTOI.
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Voi tecnici ortopedici siete prevalentemente, se non quasi esclusivamente, nel privato. Perché per voi è importante un riconoscimento nella sanità pubblica?
«In realtà siamo solo nel privato perché nel pubblico ci sono in tutta Italia tre persone provenienti da vecchie situazioni risalenti al 1980 dove esistevano i laboratori ortopedici pubblici. Fu presa una decisione a quel tempo di spostare tutto nel privato però si è creato un grosso problema di conflitto di interesse perché il tecnico ortopedico è l’unica figura a livello professionale e sanitario abilitata alla messa in commercio di un dispositivo medico, sia esso una ortesi, una protesi o un ausilio. Questo comporta che senza un tecnico tutta la parte della individuazione del bene suddetto non possa essere fatta, quindi in alcuni casi, specialmente quelli più gravi, si corre il rischio di dover chiamare un tecnico privato esterno che viene scelto dal paziente. Però poi alla fine nell’opinione pubblica c’è il diffuso pensare: ‘si sono messi d’accordo, sono in conflitto di interesse’. In realtà è una stortura del sistema. L’ideale sarebbe avere dei professionisti pubblici, tecnici ortopedici, che nell’equipe multidisciplinare gestiscono la fase della progettazione e dell’individuazione del bene. Dopodichè sarà il paziente che con libera scelta selezionerà l’officina ortopedica esterna a cui rivolgersi per farsi fare la fornitura: così questo benedetto conflitto di interessi sparirebbe.
E’ solo un problema di conflitto di interessi?
«No, c’è il grosso problema che il nostro mondo è veramente vasto e importante da un punto di vista proprio dei beni e dei dispositivi esistenti sul mercato. Per cui la competenza è talmente enorme che sarebbe opportuno avere dei tecnici specializzati nei vari dispositivi: ci vorrebbero addirittura più persone presenti sul mercato però è chiaro che se il Servizio sanitario non prende l’iniziativa di cominciare piano piano ad inserire negli uffici protesi, nelle unità spinali, nei reparti di ortopedia, nei Pronto soccorso anche la nostra figura questo sarà un problema che non si risolverà mai».