La presidente della CdA Nazionale: «L’hi-tech ha migliorato la precisione dei presidi, ma le nuove leve non sono adeguatamente preparate dalle università all’utilizzo delle nuove tecnologie. Sono le aziende a sopperire “di tasca propria” alla carenza formativa»
Ordinamenti didattici obsoleti e abusivismo sono le priorità in agenda per i tecnici ortopedici italiani. «La nostra è una professione “antica” – dice Silvia Guidi, presidente della Commissione d’Albo Nazionale e della CdA Pisa-Livorno-Grosseto dei tecnici ortopedici – che, pur essendosi evoluta nel tempo, ha mantenuto la medesima priorità: adattare l’ausilio, l’ortesi o la protesi al paziente, cercando di migliorare al massimo la sua performance, nel pieno potenziale delle abilità residue. Questo obiettivo è oggi perseguibile con una maggiore precisione proprio grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie. L’hi-tech non ha velocizzato la produzione, che resta sempre legata all’insostituibile mano d’opera del professionista, ma ne ha migliorato l’accuratezza, offrendo la possibilità di rilevare e correggere anche i particolari più infinitesimali».
Se la pratica professionale si è adeguata all’evoluzione tecnologica, restando sempre al passo coi tempi, la teoria è rimasta molto più indietro. «Chi frequenta un corso di laurea in tecniche ortopediche non ha la possibilità di studiare e sperimentare l’innovazione tecnologica introdotta nella nostra professione – spiega la presidente Guidi -. Tanto che, quando le nuove leve entrano nelle nostre aziende – e lo fanno appena terminati gli studi, considerando che il nostro tasso di occupazione post-laurea sfiora il 99% – sono gli stessi datori a dover provvedere ad un adeguamento della formazione dei neolaureati».
Una preparazione che risponda alle richieste del mercato del lavoro non è offerta nemmeno dal percorso di formazione post-base: «La laurea specialistica di cui disponiamo attualmente è di tipo manageriale e non professionalizzante», dice la presidente Guidi che, oltre ad evidenziare la necessità di nuovi bienni specialistici, propone una vera e propria rivoluzione. «Riterrei più adeguato sostituire il 3+2 con un 2+3, offrendo un biennio universale, uguale per tutti, e un triennio di specializzazione che rispecchi le peculiarità e le ambizioni dei singoli professionisti – commenta il tecnico ortopedico -. Anche il test d’ammissione al corso di laurea, non solo in tecniche ortopediche ma per tutte le professioni sanitarie – aggiunge – andrebbe proposto al termine del primo anno di università, cosicché gli aspiranti professionisti sanitari possano avere le idee un po’ più chiare sul lavoro che si troveranno a praticare al termine del corso di studi».
I tecnici ortopedici, nonostante abbiamo un storia professionale lunga alle spalle, restano tra le professioni sanitarie definite “grandi assenti del Sistema Sanitario Nazionale”. E non senza conseguenze. «La carenza di tecnici ortopedici all’intero delle strutture pubbliche e convenzionate si traduce in abusivismo professionale. Riceviamo spesso segnalazioni della presenza di altre figure – sanitari e non – che svolgono un’attività di nostra competenza esclusiva all’interno del SSN», sottolinea Guidi.
Quanti siano i “professionisti abusivi” attualmente all’opera è difficile dirlo. «Ma – assicura il tecnico ortopedico – ci stiamo lavorando. Presto, grazie ad un lavoro di tesi portato avanti dai nostri studenti al terzo anno di università, potremmo avere una stima del reale fabbisogno dei tecnici ortopedici sul territorio italiano, che ci permetterà di avere anche un quadro più chiaro sull’abusivismo, così – conclude – da progettare ed attuare azioni mirate ed efficaci di contrasto».
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