Tante le novità emerse dal congresso dell’American Society of Oncology (ASCO) anche sul fronte dei tumori ginecologici. Con il professor Giovanni Scambia, direttore scientifico di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Ordinario di Ginecologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, i contributi presentati dalla scuola di Fondazione Policlinico Gemelli
Tante le novità emerse dal congresso dell’American Society of Oncology (ASCO) anche sul fronte dei tumori ginecologici. I progressi si misurano in mesi o addirittura anni di sopravvivenza guadagnati, anche in alcune forme tumorali avanzate, per le quali la speranza di una lunga sopravvivenza si fa sempre più solida. Il merito è delle nuove classi di farmaci, ma anche di una migliore conoscenza della malattia tumorale che consente di costruire strategie terapeutiche articolate e inedite con risultati molto importanti. Per questo è fondamentale però che le pazienti si rivolgano a centri d’eccellenza specializzati che dispongano di tutte le armi terapeutiche, anche quelle di ultima generazione e che siano in grado di gestire le nuove tossicità inerenti ai farmaci innovativi per gestirle prontamente, anche all’interno di un’équipe multidisciplinare. Farmaci innovativi e presa in carico presso centri specializzati di grande esperienza e alti volumi fa la differenza in termini di sopravvivenza.
Vediamo con il professor Giovanni Scambia, direttore scientifico di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Ordinario di Ginecologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, quali sono le principali novità emerse da questa edizione dell’Asco e i contributi presentati dalla scuola di Fondazione Policlinico Gemelli.
Nello studio internazionale di fase III MIRASOL, il mirvetuximab soravtansine, un coniugato anticorpo-inibitore dei microtubuli, riduce il rischio di progressione e aumenta la sopravvivenza di almeno 6 mesi, nelle donne con tumore ovarico avanzato, platino-resistente con elevata espressione del recettore per i folati sulle cellule tumorali, rispetto alla chemioterapia. La chemioterapia mostra un’efficacia limitata e un’elevata tossicità nelle pazienti con tumore ovarico platino-resistente. Ogni ulteriore linea di chemioterapia si associa ad un tasso di risposta progressivamente inferiore e sempre meno pazienti sono in grado di tollerare il trattamento. Questo studio dimostra la superiorità di questo nuovo farmaco rispetto alla chemioterapia e lo propone come nuovo standard di cura per le donne con espressione elevata del recettore per i folati sulle cellule tumorali. Dal 2014 non si avevano nuovi farmaci con l’indicazione specifica per questa malattia; l’ultimo, in associazione alla chemioterapia era stato il bevacizumab. Un’analisi ad interim dello studio internazionale di fase III DUO-O, dimostra che l’aggiunta di olaparib e durvalumab nelle pazienti con tumore ovarico in stadio avanzato, senza mutazione BRCA e HRD +/-, prolunga la sopravvivenza libera da progressione (PFS). Purtroppo non esistendo uno screening per il tumore ovarico, più dei 2/3 delle pazienti sono diagnosticate in fase avanzata. Questa nuova associazione, prolunga la PFS e rappresenta dunque un ulteriore tassello di risposta al grave unmet need di trattamento per queste pazienti.
L’immunoterapia (pembrolizumab) in prima linea, combinata con la chemioterapia aumenta la sopravvivenza fino a 28 mesi, rispetto ai 16 mesi del gruppo di controllo, riducendo il rischio di morte del 37%. Sono i risultati dello studio di fase III KEYNOTE-826, che ha coinvolto pazienti con tumore della cervice persistente, recidivante o metastatico non sottoposte a chemioterapia, né eleggibili al trattamento chirurgico o radioterapico. Lo studio dimostra che anticipare l’impiego dell’immunoterapia dà un beneficio sostanziale in termini di sopravvivenza globale, rispetto al suo impiego in seconda linea.
Tumore dell’endometrio avanzato o recidivato: lo studio RUBY, considerato dagli esperti una pietra miliare nel trattamento di questa forma tumorale nelle pazienti dMMR/MSI-H (mismatch repair deficient/microsatellite instability-high) dimostra che l’aggiunta di dostarlimab (un anti-PD-1) al trattamento chemioterapico standard (paclitaxel-carboplatino) determina una riduzione drastica del rischio di progressione della malattia, soprattutto nelle pazienti con dMMR/MSI-H, ma anche nella popolazione generale.
Lo studio di fase III NATALEE dimostra che l’aggiunta di ribociclib (un inibitore delle cicline) alla terapia ormonale in fase adiuvante nel tumore della mammella HR+/HER- in stadio II-III, riduce il rischio di recidiva del 25%. Il ribociclib in questo studio è stato somministrato per 3 anni (al dosaggio di 400 mg, mentre nelle forme metastatiche si utilizza il dosaggio di 600 mg); la terapia ormonale per 5 anni. Questi risultati supportano dunque l’impiego del ribociclib in associazione alla terapia ormonale come trattamento di scelta in adiuvante, in un’ampia popolazione di pazienti con tumore della mammella HR+/HER2 in fase precoce, con o senza interessamento linfonodale.
Lo studio prospettico randomizzato TROPiCS-02 ha trattato donne con tumore della mammella metastatizzato HR+/HER2-, con sacituzumab govinotecan, un farmaco-anticorpo coniugato diretto contro l’antigene Trop-2. All’ASCO è stato presentato un aggiornamento dei dati di sopravvivenza, in terza linea di trattamento, che dimostrano come l’impiego di questo farmaco migliori il controllo di malattia e la sopravvivenza globale (che è di 14,5 mesi con sacituzumab govitecan, rispetto agli 11,2 mesi con la chemioterapia a singolo agente), un risultato non facile da vedere in pazienti in questo stadio, già pesantemente pretrattate.
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