L’apertura delle terapie intensive è solo uno degli argomenti al centro della terza edizione del congresso iWIN, The International Women in Intensive and Critical Care Network”, in corso a Catania
Non più reparti chiusi e inaccessibili, ma unità operative aperte ed operatori sanitari più propensi alla comunicazione. È questo il cambiamento epocale avvenuto nei reparti di terapia intensiva degli ospedali italiani durante la pandemia da Covid-19. Mutamenti che, mantenuti nel tempo, hanno migliorato l’attuale organizzazione delle terapie intensive. «È maggiore la capacità comunicativa tra medico e paziente, tra medico e familiari dei pazienti e tra tutti gli operatori sanitari. Così come è più radicato e diffuso l’utilizzo della telemedicina. Le nuove tecnologie – spiega Francesca Rubulotta, direttrice dell’Unità di Terapia intensiva presso la McGill University di Montreal in Canada e docente senior presso l’Imperial College Medical School di Londra, in un’intervista a Sanità Informazione – hanno permesso ai cittadinI di “entrare” nei nostri reparti ed avere una visione diretta del nostro lavoro, fino a qualche anno fa poco conosciuto ed, a volte, addirittura misconosciuto».
Tutto questo grazie all’utilizzo di semplici tecnologie, spesso già abitudinariamente usate, come ad esempio video-chiamata. «Le video-chiamate ci hanno consentito di presentarci direttamente nelle case delle famiglie dei nostri pazienti – racconta Rubulotta -. Medici e operatori sanitari sono stati finalmente associati ad un volto, spesso segnato dalle fatiche, che ha permesso un’umanizzazione del nostro ruolo e instaurato un rapporto di fiducia tra noi e i familiari dei degenti».
L’apertura delle terapie intensive è solo uno degli argomenti al centro della terza edizione del congresso iWIN, “The International Women in Intensive and Critical Care Network” presieduto dalla stessa professoressa Rubulotta, in corso da oggi, 30 giugno 2023, a Catania. «I valori di iWIN sono nell’acronimo IDEAL – spiega Rubulotta -. I indica “Innovation,” espressione del desiderio di cambiamento e di collaborazione con organizzazioni, società scientifiche e anche le industrie, start-up di biotecnologia, compagnie di IT che promuovono formazione a livello internazionale e in aree in via di sviluppo. La lettera D corrisponde a “Diversity”, la E a “Equality”, non solo in ambito lavorativo ma anche nella ricerca, nella rappresentanza a congressi e nell’assegnazione di premi e borse di studio. Ancora, A sta per “Advocacy”, ovvero la necessità di supporto reciproco e a formare una squadra, cosa non sempre facile per le donne e la L per Leadership, indica ispirazione per nuove generazioni a trarre esempio da altre donne che hanno raggiunto posizioni apicali».
iWIN è una rete di network in grado di favorire una maggiore consapevolezza sulle condizioni delle donne che operano nel campo sanitario, così da diffondere buone pratiche di pari opportunità. La medicina è sempre più donna: dal numero delle iscritte all’Università a tutte le branche specialistiche le donne sono in ascesa. Non c’è dubbio che sia una professione che si declina sempre di più al femminile. «Il dato del 70% di donne iscritte agli ultimi test di Medicina in Italia non fa che confermare che l’andamento che si registra di tutti i Paesi occidentali. Tuttavia, solo una piccola parte delle donne laureate in medicina e chirurgia sceglie di lavorare in prima linea e di queste solo pochissime raggiungono ruoli apicali», dice l’anestesista.
Un esempio chiaro ci viene dato nell’ambito dell’anestesia e della rianimazione in quanto, le autrici di articoli scientifici, editrici di riviste scientifiche, dirigenti di aziende farmaceutiche o di biotecnologia, redattrici di linee guida e raccomandazioni sono solo una media del 10% e ad alcuni congressi internazionali il numero delle relatrici è inferiore al 5%. Numeri che diminuiscono ulteriormente se si introduce anche un elemento di diversità e inclusione come dimostrato tra le donne delle minoranze etniche (a volte non rappresentate in congressi internazionali). «La biotecnologia, è disegnata per il 68% da ingegneri uomini, ed è usata nel 70% da giovani donne infermiere e medici impegnati al letto del malato. Ciò significa- spiega Rubulotta – che le modalità lavorative e le tecnologie sono dettate da comitati principalmente costituiti da uomini, a fronte di una cura a letto del malato fornita da medici o infermieri che sono principalmente donne. Per questo – conclude – iWIN, oggi, come Fondazione, propone di traslare lo stesso affiatamento che conduce una squadra alla vittoria di una partita, nel mondo professionale al femminile».
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