Il Presidente della FNOVI: “Se dovessero esserci in futuro segnalazioni di bovini infetti anche in Italia il rischio per l’uomo sarebbe comunque basso. Il latte, in particolare, non potrebbe rappresentare una possibile fonte di contagio perché la pastorizzazione è più che sufficiente ad eliminare ogni traccia di virus”
“L’identificazione del virus dell’influenza aviaria ad elevata patogenicità H5N1 nella specie bovina rappresenta un elemento di indubbia preoccupazione, perché testimonia un’ulteriore espansione del range di specie animali, in particolare mammiferi, che possono essere infettate da questo virus”. Gaetano Penocchio, presidente della FNOVI, la Federazione nazionale degli ordini dei veterinari italiani, in un’intervista a Sanità Informazione, commenta i casi di aviaria identificati nei giorni scorsi in quattro allevamenti negli stati del Texas e Kansas.
A diffondere la notizia è stato il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti precisando che, nonostante non sia ancora “noto quale sia il ceppo virale responsabile delle infezioni, al momento il rischio per l’uomo è considerato basso”. Dello stesso parere è anche il presidente della FNOVI: “Al momento – precisa Penocchio – la segnalazione giunta dagli Stati Uniti non determina un incremento del rischio per l’uomo, perché il virus non ha (ancora) acquisito quelle mutazioni genetiche che favoriscono l’adattamento ai mammiferi. Ad oggi, la trasmissione del virus tra mammiferi non è documentata e l’unica modalità di infezione per l’uomo è rappresentata dal contatto diretto con volatili infetti”.
In Texas e nel Kansas i controlli sono scattati dopo che le vacche, soprattutto alcuni esemplari più anziani, avevano iniziato a manifestare sintomi come la diminuzione della produzione di latte e la riduzione dell’appetito. Le autorità stanno monitorando la situazione e conducendo altri test per caratterizzare il virus responsabile dell’infezione, che, secondo le prime analisi, non sembra aver subito modifiche “che – come spiegato in una nota dal dipartimento dell’Agricoltura statunitense – lo renderebbero più trasmissibile agli esseri umani, il che indicherebbe che l’attuale rischio per la popolazione rimane basso”. Secondo le prime rilevazioni, negli allevamenti interessati, circa il 10% dei capi era colpito dall’infezione, mentre la mortalità è nulla o bassissima.
“La segnalazione del virus H5N1 nei bovini segue quella nelle capre, sempre negli Stati Uniti, avvenuta una settimana prima – racconta il Presidente Penocchio, ricostruendo gli ultimi avvenimenti -. Non è assolutamente chiaro come il virus dell’influenza aviaria abbia potuto infettare queste nuove specie animali, perché finora, oltre ai volatili, incluso il pollame domestico, sono risultati recettivi all’infezione numerose specie di carnivori, le quali si infettano attraverso la predazione di uccelli infetti. L’ipotesi più probabile è che ci siano stati ripetuti contatti con uccelli selvatici o con le loro deiezioni, mentre, almeno per ora, si esclude una trasmissione intraspecifica (da bovino infetto a bovino sano), perché questa modalità non è ancora stata descritta per i mammiferi. Di sicuro l’aumento delle specie di mammiferi colpite dall’influenza aviaria preoccupa perché aumenta le probabilità di adattamento del virus ai mammiferi, uomo compreso”.
“In Italia, il virus dell’influenza aviaria H5N1 è già presente negli uccelli selvatici e compare sporadicamente negli allevamenti avicoli, comportando l’abbattimento di tutti i volatili dell’allevamento. In Italia è in vigore da anni un programma nazionale di sorveglianza per i virus dell’influenza aviaria, che viene rinnovato ogni anno per meglio adattarlo alla situazione epidemiologica nazionale ed internazionale. Grazie a questo piano – spiega il Presidente della FNOVI – è possibile monitorare la circolazione dei virus influenzali nei volatili domestici e selvatici e identificare eventuali focolai in maniera precoce. Il rischio per l’uomo resta comunque bassissimo e limitato agli operatori della filiera avicola. Non esistono ad oggi segnalazioni di influenza aviaria nella specie bovina in Italia, ma, anche se dovessero esserci in futuro, il rischio per l’uomo sarebbe comunque basso. Il latte, in particolare, non potrebbe rappresentare una possibile fonte di contagio per l’uomo perché – conclude – la pastorizzazione è più che sufficiente ad eliminare ogni traccia di virus”.
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