Ottimizzare i trattamenti, offrendo una terapia personalizzata, cucita su misura, sulle esigenze del singolo paziente, è l’obiettivo dello studio condotto dal team di ricerca coordinato dal professor Alessandro Cucchetti dell’Università di Bologna e pubblicato sulla rivista scientifica Jama Surgery
L’intervento chirurgico è, ad oggi, una delle poche chance di cura per un paziente affetto da tumore del pancreas. Ma non è detto che la sala operatoria sia per tutti i malati la soluzione più adeguata. In alcuni casi può essere più efficace trattare il cancro con la chemioterapia prima dell’intervento, cosiddetta neoadiuvante, evitando così di incorre in chirurgia “upfront”, ovvero ‘futile’. Ottimizzare i trattamenti, offrendo una terapia personalizzata, cucita su misura, sulle esigenze del singolo paziente, è l’obiettivo dello studio condotto dal team di ricerca coordinato dal professor Alessandro Cucchetti dell’Università di Bologna e pubblicato sulla rivista scientifica Jama Surgery. “Il cancro al pancreas – spiega Cucchetti – è noto per essere uno dei tumori più aggressivi e difficili da trattare, con una prognosi spesso infausta. La chirurgia rappresenta una delle poche opzioni curative”.
Cucchetti ha coordinato un gruppo di ricercatori italiani provenienti dai centri del San Raffaele di Milano, Verona, Bologna e Torino e con la collaborazione del Vincenzo Mazzaferro dell’ Istituto Tumori di Milano, che ha lavorato per individuare le condizioni cliniche che identificano i pazienti ad alto rischio di chirurgia “upfront” ovvero ‘futile’. Circa un quarto dei pazienti con adenocarcinoma pancreatico, spiega Ercolani, “viene diagnosticato ad uno stadio anatomicamente resecabile, tuttavia, anche se tecnicamente operabile, occorre considerare l’aggressività biologica del tumore. Operare subito pazienti con adenocarcinoma biologicamente aggressivo può rappresentare infatti un ‘autogol’ nel caso in cui la malattia si ripresentasse precocemente dopo l’intervento. Ciò significherebbe aver operato su un paziente con già micrometastasi, rendendo quindi un intervento complesso come la resezione pancreatica, fondamentalmente futile”.
Secondo i dati più recenti, nel 2022 sono stati stimati 14.500 nuovi casi in Italia di tumore al pancreas. Il tasso di mortalità non si è modificato in modo significativo negli ultimi anni e quello del pancreas si attesta come il tumore con la minor sopravvivenza sia a un anno dalla diagnosi (34% nell’uomo e 37,4%o nella donna) che a cinque anni (11% nell’uomo e 12% nella donna). Le persone più a rischio sono quelle che rientrano nella fascia d’età compresa tra i 50 e gli 80 anni: il tumore del pancreas è infatti molto raro tra chi ha meno di 40 anni. I fumatori hanno un rischio che è circa doppio rispetto a chi non ha mai fumato, rischio che aumenta anche in presenza di mutazioni in specifici geni, come quelli per familiarità dei cancri della mammella e dell’ovaio, e inoltre di sindrome da melanoma familiare con nevi multipli atipici, pancreatite familiare, sindrome di Lynch e sindrome di Peutz-Jeghers (fonte Fondazione Veronesi).
Attraverso l’analisi di 1.426 resezioni pancreatiche, chiarisce Cucchetti, “abbiamo identificato una combinazione semplice di caratteristiche tumorali e cliniche in grado di identificare i pazienti a basso rischio di chirurgia futile. Questi pazienti rappresentano i candidati ideali alla cosiddetta chirurgia upfront, ossia subito dopo la diagnosi. Questa combinazione, che abbiamo chiamato ‘Metropancreas‘ ci consente anche di individuare quei pazienti con tumore biologicamente aggressivo nei quali le linee guida suggeriscono la chemioterapia prima dell’intervento, cosiddetta neoadiuvante, che ha l’obiettivo di trattare le eventuali micrometastasi e di ridurre le dimensioni del tumore prima della chirurgia, riducendo significativamente il rischio di chirurgia futile”.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato