Scoprire il meccanismo con cui le cellule riescono prima ad identificare e, poi, a riparare alcuni dei danni al Dna causati da raggi ultravioletti, fumo, alcol e inquinamento potrebbe aprire la strada a nuove terapie anticancro
I raggi ultravioletti, il fumo, l’alcol e l’inquinamento danneggiano, a vari livelli, l’organismo umano. Tra i danni più rivelanti ci sono quelli causati al Dna che, tuttavia, il corpo umano è potenzialmente in grado di riparare. Tale meccanismo di riparazione, oggetto di studio per due interi decenni, è stato ora identificato nei laboratori del Regno Unito. Le ‘sarte riparatrici’ sono un complesso di proteine (Fancd2 e Fanci) , chiamato D2-I e già conosciuto, ma di cui finora non era ben chiaro il meccanismo d’azione. Scoprire il modo in cui le cellule riescono prima ad identificare e, poi, a riparare alcuni dei danni al Dna causati da raggi ultravioletti, fumo, alcol e inquinamento potrebbe aprire la strada a nuove terapie anticancro.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature e condotto dai ricercatori dei Medical Research Council Research Institutes, si è focalizzato in particolare su una tipologia di danno al Dna, quella dei ‘crosslink’, ovvero dei legami incrociati che si vanno a formare tra i due filamenti della doppia elica, impedendone la corretta apertura a cerniera per consentire la normale replicazione del Dna. Lo stallo fa sì che porzioni di Dna a singolo filamento rimangano esposte senza essere replicate. È in questi casi che, per risolvere il problema, interviene il complesso di proteine riparatrici (Fancd2 e Fanci).
I ricercatori, guidati da David Rueda e Lori Passmore, lo hanno scoperto utilizzando delle sofisticate pinzette laser con le quali hanno preso una singola molecola di Dna per incubarla con le proteine del complesso D2-I rese fluorescenti. In questo modo sono riusciti a visualizzare in diretta il modo in cui il complesso riparatore scorre lungo il Dna fino a bloccarsi in corrispondenza del danno. A sorpresa si è scoperto che il sistema non riconosce direttamente il crosslink, bensì la regione di Dna a singolo filamento esposto. In questo modo, oltre a richiamare altre proteine riparatrici, consente anche di proteggere il filamento esposto evitando che venga digerito dagli enzimi della cellula peggiorando ulteriormente il danno.
Grazie alla microscopia crioelettronica, una potente tecnica in grado di visualizzare le proteine a livello molecolare, i ricercatori hanno poi individuato una porzione specifica della proteina Fancd2 (chiamata ‘elica Kr’) che è risultata fondamentale per riconoscere il punto esatto del Dna in cui il complesso deve fermarsi per cominciare l’opera di riparazione. Conoscere a fondo questi meccanismi è importante perché l’accumulo di danni al Dna favorisce l’insorgenza di tumori, ma non solo. Le stesse cellule tumorali possono hackerare questi meccanismi di riparazione per resistere ai danni causati da farmaci chemioterapici come il cisplatino riducendo così l’efficacia delle terapie.
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