La presidente FNOPO: «La denatalità riscontrata in questi due anni di pandemia ha colpito maggiormente le prime gravidanze. La solitudine non ha scoraggiato le donne al secondo o al terzo figlio»
Il 2021 potrebbe essere ricordato come l’anno del “Baby Bust”. Nei 12 mesi che stiamo per lasciarci alle spalle il calo delle nascite si prospetta ancora più disastroso del 2020 che, con i suoi lunghi e ripetuti lockdown, ha già segnato un record negativo di natalità.
«Secondo i dati provvisori elaborati dall’Istat tra i mesi di gennaio e settembre di quest’anno le nascite sono già 12.500 in meno rispetto al calo totale dello scorso anno, quasi il doppio se si osserva esclusivamente lo stesso periodo del 2020», racconta Silvia Vaccari, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini della Professione di Ostetrica (FNOPO). L’anno scorso sono venuti alla luce 404.892 bambini, nel 2019 i nuovi nati erano stati 15 mila in più. «Il periodo di maggiore denatalità è coinciso con i periodi più critici della pandemia da Covid-19: nel solo mese di novembre del 2020 si è registrato un -8,3% rispetto al 2019. A dicembre il calo è stato dell’8,7% – continua Vaccari -. Un quadro ancora più allarmante se associato all’elevato tasso di mortalità di questi quasi due anni di emergenza sanitaria».
Negli anni Duemila gli effetti del Baby bust sono stati contenuti dall’ingresso in Italia di immigrati giovani, ma oggi questo apporto positivo sta lentamente perdendo la sua efficacia, soprattutto per l’invecchiamento anche della popolazione straniera residente.
Se calano le nascite aumentano, di conseguenza, i figli unici: il numero medio di figli per donna è passato dall’1,44 degli anni 2008-2010 all’1,24 del 2020. «La denatalità riscontrata in questi due anni di pandemia – aggiunge la presidente FNOPO – ha colpito maggiormente le prime gravidanze. Le donne al secondo o al terzo figlio sembra si siano lasciate scoraggiare meno dalle conseguenze della pandemia».
È stata soprattutto la paura della solitudine a paralizzare la scelta di molte aspiranti mamme: «Non sono poche le donne che, consapevoli di dover affrontare tutte le principali tappe della gravidanza da sole, dalle ecografie alle visite e fino al parto, hanno deciso di rinviare il proprio progetto di mettere su famiglia – dice Vaccari-. È innegabile pure la difficoltà, soprattutto nei momenti più critici della pandemia, di accesso a moltissimi servizi dedicati alla fertilità e alla nascita, alcuni ridimensionati altri addirittura temporaneamente chiusi. A questi disagi, poi, va sommata quella tendenza, già consolidata da tempo, di sognare una gravidanza in età sempre più tarda».
Anche i percorsi nascita avrebbero bisogno di una rivoluzione copernicana come quella prospettata per l’intero Sistema Sanitario Nazionale attraverso il PNRR. «Se non sono le donne a bussare alla porta dei nostri servizi, perché frenate dai motivi più svariati, allora – dice Vaccari – dobbiamo essere noi professionisti a garantire l’assistenza più adeguata direttamente a domicilio, anche nell’ambito della prevenzione. In questo contesto sarebbe cruciale il ruolo dell’ostetrica, professionista sanitario in grado di accompagnare le donne, le coppie, ma anche intere famiglie in un percorso tanto meraviglioso quando difficile come quello della nascita, da prima che avvenga il concepimento, fino ai mesi iniziali di vita del nuovo nato».
Ma se sulla qualità la presidente Vaccari non ha alcun dubbio, non nega, invece, le sue perplessità in termini di quantità. «Le nostre ostetriche hanno una preparazione pienamente adeguata a rispondere ai nuovi bisogni di salute dei cittadini, ma – conclude – sono numericamente insufficienti a garantire un’assistenza capillare che valichi le mura ospedaliere e arrivi al territorio, fino alla case dei pazienti».
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