Amedeo Pancotti, primario di Oncologia a Teramo e pilota, ha portato alcuni pazienti nel circuito di Magione per una giornata su Ferrari e Abarth: «L’aspetto psicologico è determinante». Il prossimo 9 marzo il secondo appuntamento che vedrà il coinvolgimento anche dell’Automobile Club d’Italia
Una pista automobilistica percorsa da bolidi che superano i 200 km all’ora. A bordo un medico e i suoi pazienti che sfidano la pura della velocità per prepararsi a vincere una battaglia ben più importante, quella contro il tumore. L’originale iniziativa è nata da un’idea di Amedeo Pancotti, primario di Oncologia all’Ospedale Mazzini di Teramo.
Pancotti, appassionato pilota di rally, sa bene quanto l’aspetto psicologico sia importante nella lotta al cancro. Per questo creare un rapporto con il paziente che vada al di là del mero scambio medico-diagnostico è importante: non a caso da anni presiede l’associazione di volontariato di Ascoli “Hozho” che si occupa di donne operate al seno e promuove diverse iniziative per alleviare le sofferenze dei malati e delle loro famiglie.
Così, aiutato dalla pilota Debora Broccolini, ha portato alcuni pazienti selezionati (perché non tutti sono in grado di sostenere una simile prova) all’autodromo di Magione, vicino Perugia, per una giornata che resterà per sempre nella loro memoria: «Insieme alla Broccolini abbiamo organizzato questo master day in pista. È stata una cosa bellissima. Ovviamente ho fatto una selezione dei pazienti, non tutti sono adatti fisicamente. C’è stata una risposta bellissima: i club Ferrari e Abarth hanno messo a disposizione diverse automobili, noi siamo andati con 3-4 macchine da corsa. A ogni paziente abbiamo fatto fare tre giri di pista, in alcuni punti abbiamo raggiunto anche oltre i 200 km, non ci siamo risparmiati».
Il giorno in pista ha avuto un effetto più che positivo sullo stato d’animo dei pazienti: «Sotto certi aspetti è terapeutico – sottolinea il medico -. Da quando abbiamo cominciato queste iniziative vengono in ospedale entrando nella loro ‘casa’. Molte volte parlo del vomito anticipatorio, ci sono molti pazienti che vanno in ospedale e cominciano a vomitare perché l’aspetto psicologico è determinante: entrare nella propria ‘seconda casa’ dove ci sono persone con cui hai giocato e di cui ti fidi significa in qualche modo sollevarti dall’angoscia dal posto che ti è ostile».
Pancotti non è nuovo a simili iniziative, in passato anche in ospedale ha realizzato eventi che hanno visto i pazienti per un giorno dimenticarsi dei loro problemi: «Ho organizzato sempre iniziative per coinvolgere i malati cercando di dare concretezza al concetto di umanizzazione dell’ospedale, del reparto. Abbiamo fatto un ‘Masterchef oncology’, li abbiamo fatti cucinare con la giuria, con il pubblico, con la giuria che dava voti: è stata una cosa bellissima. Abbiamo fatto musica leggera, teatro, ecc. Una mattina abbiamo preso un autobus di 70 posti, non siamo andati in ospedale, abbiamo saltato la chemio, siamo andati a mangiare in un ristorante in montagna e a Loreto. Loro queste cose le apprezzano in maniera entusiasmante. Questo fa si che il rapporto, pur restando sempre nel contesto di una professionalità, diventa più aperto, più affettuoso, più emozionante e emotivo».
L’appuntamento in pista con i pazienti è destinato a non restare un episodio isolato. Ora anche l’Automobile Club d’Italia ha sposato l’iniziativa che potrebbe avere un’eco nazionale e il 9 marzo 2020 ci sarà una seconda edizione, questa volta allargata: crescono le richieste di adesione all’evento.
Da parte di Pancotti, però, resta l’amarezza per la scarsa attenzione che le autorità sanitarie hanno riservato all’iniziativa: «Hanno mostrato totale disinteressate. Se non l’avessi fatta sarebbe stata la stessa cosa. Andrò via a breve da Teramo ma continuerò a lavorare per queste iniziative del mio reparto. La cosa che mi fa male è la totale ignoranza e l’incultura da parte delle strutture amministrative e politiche che confondo un malato oncologico con un altro malato. Invece il malato oncologico è un malato complesso perché è un malato che si sente tradito dal proprio corpo, che sente di perdere il suo ruolo sociale e spesso anche familiare. C’è una complessità di azioni sotto l’aspetto psicologico che intervengono che sono drammatiche che sono diverse da ogni altro tipo di malato. Farlo capire è dura».