Salute 28 Aprile 2020 18:32

«A Piacenza onda d’urto impressionante, per questo abbiamo il più alto numero di morti». Parla il pioniere della lotta al virus Luigi Cavanna

L’oncologo noto per i suoi interventi ‘casa per casa’ per sconfiggere l’epidemia: «Azione precoce arma vincente, nessun paziente curato a domicilio è morto». E ricorda i primi giorni dell’emergenza: «Il Pronto soccorso di Piacenza era in una situazione apocalittica»

«A Piacenza onda d’urto impressionante, per questo abbiamo il più alto numero di morti». Parla il pioniere della lotta al virus Luigi Cavanna

«Nelle settimane successive al 21 febbraio il Pronto soccorso di Piacenza era in una situazione apocalittica. Lei ha presente un Pronto soccorso in cui ogni stanza, ogni posto libero, ogni ripostiglio è occupato da malati? C’erano tubi che portavano l’ossigeno dappertutto e c’erano le ambulanze in fila che dovevano aspettare per poter scaricare i pazienti. Siamo stati investiti da un’onda d’urto incredibile». A parlare è l’ormai noto oncologo di Piacenza Luigi Cavanna, che ricorda i giorni difficili dell’esplosione dell’epidemia e la sua scelta di andare a curare i malati a domicilio, una cura “casa per casa” che si è rilevata vincente e che poi è diventata un modello per tante altre regioni.

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«Oggi ci sono meno malati per fortuna – sottolinea -. Ci sono più squadre che escono e rispetto a un mese fa molto è cambiato in meglio. Ci sono ancora tamponi positivi ma i pazienti sono molto meno gravi e soprattutto polmoniti con mancanza di fiato non ce ne sono più. È un altro mondo».

Qualcuno ha parlato di virus meno aggressivo, ma per Cavanna la realtà è un’altra e riguarda la tempestività delle cure: «Il virus mantiene la sua aggressività biologica, solo che molte persone ai primi segni di febbre, mal di gola, tosse chiamano il medico e vengono curate. Oltretutto nel territorio di Piacenza ormai da tre settimane anche i medici di famiglia hanno i kit per somministrare subito i farmaci ai primi sintomi sospetti, e questo sta cambiando davvero la storia naturale di questa malattia. Un intervento precoce fa sì che le forme che erano destinate ad evolvere in forme più severe e che poi portavano il malato al Pronto soccorso con insufficienza respiratoria non ci sono più».

Il pensiero è sempre per la sua Piacenza, che si è ritrovata ad essere uno degli epicentri del Covid-19 in Italia. Una terra martoriata dal virus, come testimonia l’analisi dei dati pubblicati dalla Protezione Civile e dai siti delle regioni, relativi alle province della Lombardia, dell’Emilia Romagna, del Piemonte e della Val d’Aosta, in cui emerge che la provincia con il più alto tasso di mortalità cumulativa sia Piacenza (258,5 morti x 100mila abitanti), seguita da Bergamo (255,9) e Lodi (247,8).

«Vorrei vedere bene i dati rapportati anche al numero di persone positive – sottolinea Cavanna -. Non ho vissuto la realtà di Cremona, Bergamo, Lodi, Brescia, delle città più colpite. Ma ho ben presente la realtà di Piacenza. C’è una osservazione oggettiva: Piacenza è a dieci minuti d’auto da Codogno e 15 minuti da Casalpusterlengo. Il basso lodigiano storicamente per scuola, mercati, scambi economici fa più riferimento a Piacenza che non a Lodi. L’epicentro è stato Codogno, almeno così sembra. Nelle settimane successive al 21 febbraio il Pronto soccorso di Piacenza è stato una cosa apocalittica. Mi ricordo quando mi dissero: ‘Vieni a vedere al Pronto soccorso perché se non vieni a vedere non ti rendi conto’. L’onda d’urto che ha colpito Piacenza può spiegare l’elevato numero di morti. Sono morti che hanno avuto una lunga permanenza nelle terapie intensive. I morti di oggi sono morti che vengono da mesi di ricovero. Il prezzo che Piacenza ha pagato è l’elevato numero di contagi, l’elevato numero di pazienti con broncopolmoniti avanzate che sono andati al Pronto soccorso e non sono più tornati a casa». Sui tempi e sulla diffusione del contagio Cavanna non esclude che l’infezione sia arrivata ben prima di quel fatale 21 febbraio: «Molti medici di famiglia sostengono che già a dicembre diversi loro malati avevano avuto delle polmoniti strane a lenta risoluzione che forse potevano richiamare questa forma virale».

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Cavanna, che pure si occupa di malati oncologici e non di malattie infettive, è stato un pioniere nell’affrontare il Covid-19. E oggi ricorda quei momenti: «Eravamo intorno al dieci marzo, scioccati del numero di malati che venivano al Pronto soccorso, ormai trasformato in un accampamento con tantissimi malati attaccati all’ossigeno. Feci una scelta semplice. Dissi: questi malati qui non sono colpiti da un momento all’altro come per un ictus o infarto, hanno una storia di 7-10-15 giorni di febbre. Bisogna intervenire prima. Lessi i primi report dalla Cina sul fatto che l’idrossiclorochina funzionava, che gli antiretrovirali dati subito sembravano funzionare. Sono il primo a dire che non ci sono studi randomizzati che sono la base per dare ai cittadini una cura sicura. Però in momenti straordinari si danno delle risposte straordinarie. Questo ha pagato».

«Oggi noi continuiamo ad andare a casa dei pazienti anche se il lavoro è molto ridotto. Ci sono anche più squadre al lavoro. Il tasso di ricovero è basso su questi pazienti. Di questi pazienti che abbiamo curato a casa con l’ossigeno, nessuno è morto. Abbiamo portato a casa malati che avevano ossigeno sui 92-93. Curati a casa ma monitorati diverse volte a giorno, con uno stretto controllo. Questi pian piano sono migliorati, qualcuno è stato ricoverato il giorno dopo per pochi giorni, ma è presto tornato a casa con l’ossigeno. Questo rafforza molto la possibilità di curare nella propria abitazione queste persone. Continuo a prescrivere gli antivirali, ma non quelli per l’AIDS: dopo l’intervento dell’AIFA del 2 aprile che dice di essere cauti a prescriverli, lasciamo questa cura solo a pazienti molto selezionati. Ora sta partendo uno studio di fase 3 randomizzato voluto da AIFA che ci darà una risposta su quale antivirale funziona meglio».

Sul campo, però, l’uso dell’idrossiclorochina sembra promosso a pieni voti: «Sette giorni bastano per spegnere il grosso dell’infezione. Molte persone dopo due-tre giorni stanno già meglio, ma se c’è ancora qualche residuo si fanno altri 4-5 giorni». Sugli effetti avversi di questo farmaco chiarisce: «Può dare un’alterazione elettrica dell’elettrocardiogramma. Tuttavia nel piacentino lo abbiamo usato su migliaia di pazienti e non abbiamo avuto nessun problema chimico rilevante, anche perché viene utilizzato per un periodo molto breve».

 

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