Numerosi studi epidemiologici dimostrano che chi ha un tenore di vita più alto ha un diverso accesso alle cure e una differente predisposizione alla prevenzione: «A Torino 4 anni di differenza nell’aspettativa di vita tra zone più ricche e meno abbienti»
«Chi abita in periferia vive di meno e peggio di chi risiede in centro». Secondo Stefano Vella, medico, scienziato e Presidente AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), i determinanti socio-economici influenzano la morbilità e la mortalità, come dimostrato da numerosi studi epidemiologici. La condizione socio-economica infatti consentirebbe un diverso accesso alle cure e una differente predisposizione alla prevenzione. Fondamentale discriminante è anche la cultura che influenza l’aspetto psico-sociale e le conseguenti scelte di vita. «Abbiamo diverse prove – spiega ancora Vella ai nostri microfoni – che effettivamente gli strati più poveri della popolazione vivono di meno e si ammalano di più».
Il motivo? «Senza dubbio, queste fasce hanno un diverso accesso ai sistemi di prevenzione e di cura. Si sa che in alcuni paesi, anche ricchi, come gli Stati Uniti, esistono divari straordinari di salute tra, per dirne una, le periferie di Washington e il centro di Washington». Stessa storia in Italia: «A Torino si è visto che ci sono 4 anni di differenza tra chi vive e chi è nato nei paesini e nelle periferie del nord-ovest e chi vive nel sud-est, ovvero in quelle zone un po’ più ricche». Ma quali sono i motivi reali di questa differenza? «L’accesso alle cure – continua il Presidente AIFA – è legato anche allo stato sociale, addirittura all’istruzione, di una determinata persona. È chiaro che un bambino istruito capisce quel che gli viene detto da una famiglia benestante, che può avere il tempo di spiegare, ad esempio, come si mangia bene. Oggi, invece, abbiamo anche le nuove povertà, e quindi ci sono bambini che hanno una situazione nutrizionale diversa da quella che avevamo prima».
Un problema che c’è oggi e che viene molto sottovalutato può essere, ad esempio, il cosiddetto junk food, ovvero il cibo spazzatura, che è «più facile e conveniente da comprare: in alcune grandi catene di negozi è possibile mangiare con 3 euro. Il problema però è che non sai esattamente cosa mangi, ma quel tipo di cibo costa meno e le persone meno abbienti vanno lì. Questo tipo di cibo – spiega ancora –, che è molto diverso da quello biologico, può causare problemi di salute come il diabete». Certo, il cibo spazzatura «non è l’unica causa del diabete», ma è un esempio di come «tra le cause delle malattie croniche ci sia anche la disparità sociale e determinate condizioni socio-economiche».