Salute 10 Febbraio 2022 09:57

Addio mascherine all’aperto, ma non per tutti sarà una liberazione

Zanalda (SIP): «Per molti la mascherina e l’assenza di contatti fisici sono diventati una copertina di Linus»

La giornata di oggi, 10 febbraio 2022, si appresta a diventare una data storica nell’ambito degli ultimi due anni segnati dalla pandemia. È il giorno in cui tutta Italia, indipendentemente dal colore della zona, dice ufficialmente addio ad uno dei simboli della lotta al virus: l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto. Nero su bianco, niente più visi a metà per le strade, si torna a sorridere e a ridere in modo visibile, e anche una smorfia di disappunto o uno sbadiglio non rimarranno nascosti al riparo di una FFP2 o di una chirurgica.

Persino le parole che pronunceremo e che ascolteremo saranno più chiare, complice il ritorno della lettura labiale. Insomma, torniamo ad aprirci e ad essere noi stessi agli occhi del mondo, senza filtri. Una liberazione, sulla carta. Ma siamo sicuri che tutti, proprio tutti, la percepiranno come tale? Non sarà che per qualcuno lo schermo di una mascherina ha significato protezione in senso lato e letterale, rendendone così traumatico l’abbandono quasi come se ci si spogliasse, in pubblico, di un indumento? Insomma, la mascherina potrebbe essere la nuova “copertina di Linus”? Sanità Informazione ha rivolto questi quesiti al professor Enrico Zanalda, co-presidente della Società Italiana di Psichiatria.

Professore, sarà davvero una liberazione per tutti smettere di indossare la mascherina?

«Dal punto di vista fisico oggettivamente sì. Dal punto di vista psichico ci saranno delle persone, soprattutto quelle che hanno sviluppato una fobia del contagio, che potrebbero restare spiazzate e sentirsi meno protette dal virus, sia in riferimento a loro stessi che ai propri congiunti nel timore di contagiarli. È una libertà a cui dobbiamo riabituarci».

Ci saranno altre abitudini e atteggiamenti caratteristici della lotta al virus che sarà difficile scrollarci di dosso?

«Soprattutto i contatti fisici: le strette di mano potrebbero andare nel dimenticatoio, ma d’altra parte in molte culture come quella giapponese non sono mai state un’abitudine, e in generale vige la regola di avere meno contatti fisici possibile. Così come i due baci sulle guance, che nella nostra cultura sono un saluto, potrebbero essere abitudine difficile da recuperare. Idem per gli abbracci, soprattutto con gli estranei, mentre diverso sarà il discorso con i propri cari, con coloro che davvero ci sono mancati. La pandemia ci ha insegnato che il contatto non è solo foriero di affetto ma anche di pericolo, e a questo ormai ci siamo abituati».

Per quanto riguarda i suoi pazienti, per lei sarebbe più indicato a livello terapeutico spingerli ad abbandonare queste “copertine di Linus” o lasciarli in questa nuova comfort zone?

«Se ci si sente meglio a non accorciare le distanze fisiche è corretto che la persona assecondi questa necessità, nonostante questo potrebbe rendere più difficoltose alcuni momenti di relazione basati sull’istaurare empatia, ma forzarsi genererebbe ansia, complicando ulteriormente le cose. Credo tuttavia che col passare del tempo, chi prima chi dopo, torneremo alle nostre vecchie abitudini, pandemia permettendo: è chiaro che un altro inverno segnato dal Covid sarà diverso da un inverno alle prese con la sola influenza stagionale. Vero è che anche con l’influenza stagionale vi erano persone molto attente, specialmente quelle con fragilità immunitaria, ma erano poche. Sicuramente se la pandemia finirà non avrà più senso privarci di gesti che appartengono da sempre alla nostra quotidianità, e sarà bene riappropriarcene».

 

 

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