Salute 1 Dicembre 2021 15:56

ADHD: un disturbo iperdiagnosticato oppure sottostimato?

Secondo il Medical News Today, negli USA si assiste da anni a un eccesso di diagnosi ADHD nei bambini, ascrivibile a diversi fattori. Com’è la situazione in Italia? L’intervista al direttore di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico di Milano, Antonella Costantino

di Chiara Stella Scarano
ADHD: un disturbo iperdiagnosticato oppure sottostimato?

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (in inglese noto come attention deficit hyperactivity disorder oppure con l’acronimo ADHD) è un disturbo del neuro-sviluppo caratterizzato da problematiche nel mantenere l’attenzione, eccessiva attività e/o difficoltà nel controllare il proprio comportamento, che non appaiono adeguate all’età della persona. L’ADHD si manifesta tipicamente nell’infanzia, colpendo tra il 3 e il 5% di bambini, ma può permanere nell’età adulta, ed è associato ad un alto tasso di abbandono scolastico, disturbi ansioso-depressivi, e a un maggior rischio di andare incontro a dipendenze patologiche.

Tuttavia secondo un recente articolo pubblicato da Medical News Today, negli Stati Uniti l’incidenza del disturbo ADHD potrebbe essere sovrastimata, con un eccesso di diagnosi in cui giocherebbe un ruolo l’inserimento scolastico troppo precoce, che porterebbe in alcuni casi ad identificare come sintomi dell’ADHD alcune condotte dovute ad una immaturità fisiologica. Ancora, l’articolo rimarca una eccessiva tendenza ad intervenire a livello farmacologico anche nei casi di disturbo ADHD di entità lieve. Secondo il CDC, nella fascia d’età 3-17 le diagnosi di ADHD sono passate dal 5,5% nel 1997 al 9,8 nel 2018.

Ma quali sono i parametri per intercettare precocemente ed appropriatamente questo disturbo? Quali i canali attraverso cui deve avvenire la corretta presa in carico e, quindi, l’identificazione del trattamento più appropriato? Lo abbiamo chiesto ad Antonella Costantino, direttore dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (UONPIA) della Fondazione IRCCS «Ca’ Granda» Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e past president della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza (SINPIA).

Diagnosi e trattamento: il modello italiano e il modello anglosassone a confronto

«Una premessa necessaria riguardo all’approccio diagnostico e terapeutico nei confronti dell’ADHD – spiega la neuropsichiatra – è che se nei paesi di cultura anglosassone, tra cui gli USA, abbiamo una tendenza all’iperdiagnosi, in Italia riscontriamo il problema opposto, cioè una tendenza a sottodiagnosticare e sottotrattare l’ADHD. Questo perché nel nostro Paese c’è culturalmente una maggiore “tolleranza” rispetto a certi comportamenti non perfettamente conformi all’atteso sui bambini in età scolare.

L’Italia è stata resistente per anni rispetto al riconoscimento dell’esistenza di una sindrome ADHD vera e propria, così come è stata resistente per lungo tempo all’uso di trattamenti farmacologici nei bambini, il che può essere positivo da un lato, purché non si sfoci nell’eccesso opposto. «Per contro – sottolinea – in Paesi di cultura anglosassone tra cui gli USA vige un modello di adesione alle regole sociali molto più rigido, di conseguenza il bambino inserito in un contesto scolastico che presenta ancora una componente motoria molto elevata viene più facilmente segnalato come potenziale ADHD. «È vero però che – osserva Costantino – come emerso peraltro dal Registro dei casi ADHD in Lombardia, la sindrome viene più frequentemente diagnosticata nei bambini nati nei primi mesi dell’anno, i cosiddetti “anticipatari” nel contesto scolastico. Insomma, vanno sicuramente trovati dei punti di equilibrio».

Il trattamento farmacologico? Sì nei casi gravi, subordinato a un approccio comportamentale

«Il disturbo lieve è molto influenzato dal contesto ambientale – spiega – ed è facilmente risolvibile con interventi che incidano proprio su questo fattore, mentre per il disturbo grave è necessario intervenire, oltre che a livello comportamentale, pedagogico e ambientale, che rappresentano comunque la prima scelta di trattamento, anche a livello farmacologico, a supporto delle altre linee di intervento. Anche qui – osserva la specialista – c’è una sostanziale differenza tra il modello italiano e quello di altri Paesi tra cui gli Stati Uniti, nel quale il trattamento farmacologico subentra prioritariamente, indipendentemente dal livello di gravità del disturbo».

Il “grande equivoco” intorno all’ADHD

«Un aspetto importante da considerare – continua Costantino – è che gli interventi psicoeducativi, che incidono quindi sul contesto ambientale del minore affetto da ADHD, potrebbero erroneamente lasciar intendere che in un contesto diverso la sindrome non si sarebbe presentata. Così non è – afferma – perché sappiamo che l’ADHD insorge per un insieme di cause genetiche e neurobiologiche, i cui sintomi possono essere esacerbati da cause ambientali. Infatti, l’approccio psicoeducativo per il trattamento di questo disturbo è altamente specifico, talvolta controintuitivo, a dimostrazione del fatto che un intervento pedagogico efficace su un bambino non ADHD può rivelarsi controproducente in un bambino con ADHD, e viceversa. In sintesi – riassume Costantino – non è il contesto socio-ambientale a determinare l’insorgenza di ADHD, ma intervenire sul contesto di riferimento aiuta a risolverne i sintomi».

L’importanza di una diagnosi differenziale per la gestione dell’ADHD

«Per quanto riguarda le forme lievi – spiega – attraverso una serie di strategie si riesce a uscire dalle limitazioni funzionali che questa sindrome comporta. Con le forme gravi si impara a conviverci, a gestirle e a minimizzarne l’impatto a livello sociale, scolastico, lavorativo. Sicuramente il quadro è più complesso nei casi in cui l’ADHD si associa ad altre patologie, come l’autismo, così come in alcuni bambini vittime di traumi o maltrattamenti possono esserci una serie di sintomi sovrapponibili all’ADHD, in assenza della sindrome vera e propria. Sono tutte situazioni – conclude la dottoressa Costantino – che richiedono un approccio diagnostico terapeutico mirato e differenziato».

 

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