Ad oggi, oltre l’80% dei partecipanti allo studio non ha sviluppato alcuna disabilità grave. Nonostante gli ottimi risultati, sono emersi dei dubbi sulla sicurezza della procedura per le complicanze ematologiche complesse comparse in alcuni pazienti
Si aprano nuove speranze per i malati di adrenoleucodistrofia cerebrale (CALD), una malattia di origine genetica che si manifesta in giovane età, causando la perdita della funzione neurologica e portando, infine, alla morte precoce. I ricercatori del Massachusetts General Hospital e del Boston Children’s Hospital, infatti, hanno ottenuto buoni risultati grazie all’impiego di una terapia genica, utilizzata per il trattamento di alcuni pazienti affetti da questa rara e grave malattia. Gli scienziati, attraverso uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, hanno dimostrato che anni dopo il trattamento con questa terapia genica, la prima approvata per la CALD, il 94% dei pazienti non ha avuto un declino della funzione neurologica e oltre l’80% non ha, ad oggi, alcuna disabilità grave.
L’adrenoleucodistrofia è caratterizzata da un progressivo deterioramento neurologico dovuto alla distruzione graduale della mielina, la sostanza che riveste le cellule nervose: tale processo patologico, definito demielinizzazione, impedisce ai neuroni di comunicare con i muscoli e gli altri elementi del sistema nervoso. La sua incidenza stimata è di circa un caso ogni 20mila persone, con equa distribuzione tra maschi e femmine, razze, etnie o collocazioni geografiche. La malattia è causata da mutazioni nel gene ABCD1, localizzato sul cromosoma X e responsabile della produzione di ALDP, una proteina transmembrana dei perossisomi che permette l’eliminazione dei VLCFA da questi corpuscoli cellulari. Sono state descritte più di 1.200 mutazioni di questo gene.
Nel 2022, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha approvato la prima terapia genica per il CALD, elivaldogene autotemcel (eli-cel), che è stata valutata clinicamente dai ricercatori del Mass General e del Boston Children’s Hospital. Nel nuovo studio, 32 ragazzi di età compresa tra tre e 13 anni con CALD in fase precoce hanno ricevuto la terapia che utilizza un vettore virale per aggiungere una copia sana del gene ABCD1, difettoso nei pazienti, alle cellule staminali ematiche prelevate dal paziente. Queste staminali vengono, poi, reintrodotte nel paziente tramite un trapianto autologo.
Nonostante gli ottimi risultati ottenuti con lo studio condotto in Massachusetts, sono emersi dei dubbi sulla sicurezza della procedura per le complicanze ematologiche complesse, comprese patologie oncologiche, comparse in alcuni pazienti e non ancora completamente chiarite. Durante la sperimentazione, un paziente, infatti, ha sviluppato una condizione nota come sindrome mielodisplastica (MDS), un tumore ematologico che sembra essere stato innescato dal vettore utilizzato per la terapia genica. In una seconda sperimentazione più recente, sei dei 35 pazienti hanno sviluppato tumori del sangue (MDS in cinque casi e leucemia mieloide acuta in uno). “Sebbene i risultati complessivi della sperimentazione siano positivi, il nostro lavoro rappresenta un passo chiave per valutare i rischi associati alla terapia eli-cell e alla tecnologia del vettore usato”, conclude Christine Duncan, primo autore del report.
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