Il Segretario generale del sindacato lancia una proposta normativa che faccia rientrare le misure sulla sicurezza dei camici bianchi nella legge 81/08 sulla sicurezza sul lavoro. Poi sottolinea: «In atto cambiamento sociologico in peggio dell’educazione della popolazione»
Il tema delle aggressioni al personale sanitario resta al centro delle attenzioni del mondo medico. Complice anche la prolungata crisi politica seguita alle elezioni del 4 marzo, non ci sono state risposte significative da parte delle istituzioni. Ora il problema arriva dritto sul tavolo del nuovo Ministro della Salute Giulia Grillo. E dal mondo sindacale fioccano le iniziative per porre un freno a un fenomeno che conta oltre 1200 episodi all’anno. «Noi abbiamo elaborato una serie di principi utili per far rientrare le misure nella legge 81/08 sulla sicurezza sul lavoro, allo scopo di realizzare dei miglioramenti normativi. Ma il problema è il pessimo livello di educazione che abbiamo raggiunto», spiega Ruggero Di Biagi, Segretario generale Confintesa UGS Medici.
LEGGI ANCHE: AGGRESSIONI AI MEDICI, UN ACCOLTELLATO A NAPOLI. SCOTTI (FIMMG): «INTERVENGA MATTARELLA»
Segretario, parliamo delle aggressioni al personale sanitario, un fenomeno purtroppo in crescita. Qual è la situazione dal suo punto di vista?
«Purtroppo in campo sanitario e non solo si rispecchia il disgregamento di valori della società civile, il cambiamento sociologico in peggio della media culturale e dell’educazione della popolazione. Per cercare di porre un argine a questo gravissimo fenomeno dell’aggressione ai sanitari, come degli insegnanti, noi come sindacato abbiamo lanciato alcune proposte e idee. Una è una nuova legge, redatta da una nostra iscritta, che ha elaborato una serie di principi utili per far rientrare le misure nella legge 81/08 sulla sicurezza sul lavoro, allo scopo di realizzare dei miglioramenti normativi. L’altra proposta, nell’immediato, è quella di utilizzare delle agenzie di sicurezza sussidiaria che con i loro steward assicurano già da tempo in tutti i grossi convegni e nei locali affollati la sicurezza a livello civile. Questo nei Pronto soccorso, nei distretti e negli ospedali in modo da fermare malintenzionati o squilibrati».
Sarebbero dei presidi fissi all’interno delle strutture o interverranno in caso di necessità?
«Questo, che è un procedimento di tamponamento dell’emergenza, deve avvenire con un presidio fisso. Servono cooperative, le gare, gli appalti, tutto ciò che contrattualmente può porre in opera questo tipo di presidio che è capace di assicurare i grandi eventi. Riescono a garantire la sicurezza come in concerti con 80mila persone, non vedo perché non possono farlo in un Pronto soccorso. Hanno preparazione, formazione, cultura per farlo. Tutto questo in attesa di una legge che attribuisca, ad esempio, la qualifica di pubblico ufficiale o la procedibilità d’ufficio della Asl che tuteli i suoi dipendenti più esposti, anziché lasciarli soli».
Le dimensioni del fenomeno sono in crescita. Secondo lei sono in crescita perché se ne parla di più o in quest’ultimo anno in particolare sono davvero cresciute le violenze?
«I motivi sono molti. Uno dei tanti è che i tagli dei posti letto, i tagli della specialistica ambulatoriale, quelli sul territorio, l’aumento dei ticket, precipitano nei Pronto soccorso una marea di persone, crea ressa, file di ore, tutte cose che portano all’esasperazione. Un altro motivo è purtroppo il pessimo livello di educazione, di cultura che porta soggetti deboli di mente ad aggredire invece che ringraziare chi li sta curando».