Una storia di grande coraggio da parte dell’equipe dell’ospedale fiorentino, che andava incontro a un caso senza precedenti in Italia. La bimba era positiva a Covid da marzo e ha ricevuto un trapianto di cellule staminali dal padre
Era positiva al coronavirus da mesi e aveva bisogno di un trapianto per cui non si poteva più aspettare. Così i suoi medici dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze hanno deciso di eseguire comunque l’operazione in un caso che non ha precedenti in Italia. È la storia di una bambina di un anno e cinque mesi, affetta da una forma di leucemia mieloide ad altissimo rischio. Il team del nosocomio fiorentino l’ha sottoposta a un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche molto delicato.
Da mesi la piccola, risultata positiva a Covid-19, continuava a registrare lo stesso risultato nei tamponi naso-faringei. Il virus era lì a separarla da un intervento che avrebbe potuto salvarle la vita. «Non avevamo scelta, perciò abbiamo preso il coraggio a quattro mani e abbiamo deciso di andare avanti», spiega Veronica Tintori, responsabile della sezione trapianti ematopoietici del Centro di Eccellenza di oncologia ed ematologia, diretto da Claudio Favre. Ora, a un mese di distanza dal trattamento, si può dire che la scelta si è rivelata giusta: la bambina ha avuto un recupero molto rapido e ha potuto fare ritorno a casa, finalmente anche negativizzata. Dovrà seguire un percorso di cure e controlli, ma il buon esito della procedura lascia ben sperare.
A fine dicembre la diagnosi, quando la bimba aveva solo nove mesi. Subito dopo il ricovero al Centro di eccellenza di oncologia ed ematologia pediatrica e l’inizio di alcuni cicli di chemioterapia. A marzo l’infezione da Sars-CoV-2 che, per fortuna, ha sulla bambina un decorso lieve senza complicazioni. La negativizzazione però non arriva, nonostante i tentativi dei medici, ricorsi anche a due trattamenti di plasma iperimmune.
Con l’arrivo dell’estate la decisione: il trapianto va fatto. La malattia era troppo aggressiva e c’era il rischio di un ulteriore peggioramento. Il donatore è stato suo padre, aploidentico cioè compatibile al 50%. L’equipe messa in campo toccava tutte le discipline: infettivologi, immunologi, reparto trapianti, oncoematologi, pediatri e il servizio immuno-trasfusionale.
Il trattamento è stato effettuato il 19 agosto scorso, in locali dell’area Covid adeguatamente attrezzati per tutelare sia la paziente, immunodepressa, che gli operatori. Il trapianto di cellule staminali, come detto, ha avuto esito positivo. Le cellule, donate dal padre, hanno attecchito e non si sono verificate, al momento, complicanze particolari. Dopo circa un mese di degenza protetta la bambina ha potuto fare ritorno a casa. E, dopo tanti mesi di attesa, finalmente è arrivato anche il tanto sospirato tampone negativo.
«La peculiarità di questo trapianto – conclude Favre – è stata l’averlo iniziato con la piccola ancora positiva al Covid-19 e in assenza di una risposta immunitaria di guarigione. Ci trovavamo a iniziare la procedura trapiantologica in una condizione clinica paragonabile a una brutta influenza: in questi casi il trapianto viene solitamente rinviato. Trattandosi di Covid-19 il rischio di complicanze gravi era di gran lunga superiore. Una decisione quindi molto sofferta e discussa più volte da tutto il nostro gruppo di oncoematologi del Meyer. In letteratura, almeno da quanto ci risulta, non erano descritti casi di questo tipo e non sapevamo come avrebbe potuto reagire la bambina».
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