La paura è comprensibile, ma quali sono i rischi che corriamo? «Ad oggi non risulta un’emergenza in Italia: l’allerta può essere giustificata solo dagli esperti e dal ministero». Facciamo chiarezza con il dottor Stefano Lagona
Il bilancio delle vittime del coronavirus si aggrava di ora in ora: 213 morti e diecimila contagi, più del numero complessivo raggiunto dalla Sars. L’Onu l’ha definita “un’emergenza sanitaria globale” e l’Italia, ad oggi, è l’unico Paese ad aver bloccato i voli con la Cina.
La notizia dei primi due casi accertati da coronavirus anche in Italia – due turisti cinesi in visita a Roma, attualmente ricoverati allo Spallanzani – è bastata per generare ansia e preoccupazione nei cittadini. E c’è un nuovo caso sospetto, sempre a Roma: un operaio romeno che, nella notte, è stato trasferito dall’ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli allo Spallanzani, a scopo precauzionale.
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La paura prende il sopravvento e genera effetti a catena: gli italiani disertano ristoranti e negozi cinesi, nelle scuole dilaga l’ansia – il pericolo discriminazioni è dietro l’angolo – e le farmacie sono prese d’assalto alla ricerca di guanti e mascherine.
Ma quali rischi si corrono? La psicosi è fondata, ha ragione d’essere o no? Lo abbiamo chiesto al dottor Stefano Lagona, psicologo e psicoterapeuta.
Dottore, qual è il meccanismo psicologico che scatta nelle persone di fronte ad eventi così imprevisti e minacciosi come un allarme sanitario? Cosa genera il panico e quali sono le reazioni più frequenti?
«Le cosiddette “psicosi da contagio” non rappresentano una novità e la storia della cultura occidentale ne è ricca. Solitamente il meccanismo si origina dalla paura di essere contagiati improvvisamente da un morbo di cui non esiste, ad oggi la cura. Inoltre, la paura del contagio si accompagna solitamente all’attribuzione di una colpa a specifici gruppi sociali, ritenuti responsabili del contagio, e ad una forma di colpevolizzazione delle autorità competenti, non in grado di arginare e gestire il diffondersi dell’epidemia. Questo aspetto motiva gli individui ad adottare interventi preventivi in forma autonoma, talvolta palesemente inutili, in quanto si pensa che gli organi sanitari non riescano a contenere il dilagare del fenomeno».
Perché si arriva a episodi di razzismo e emarginazione, in questo caso nei confronti dei cinesi?
«Il virus di provenienza asiatica ha portato alcuni ad avere atteggiamenti discriminatori nei confronti della popolazione cinese residente in Italia. Il danno è evidente, in termini sia economici che sociali e si fonda sull’assunto palesemente errato che una determinata categoria, unicamente sulla base della propria provenienza geografica, sia responsabile dell’epidemia. In anni recenti, giusto per fare un po’ di storia, abbiamo assistito alla diffusione nella cultura di massa, a dire il vero non completamente debellata, della credenza che l’HIV fosse una sindrome che colpiva una categoria specifica della popolazione: gli omossessuali – si arrivò addirittura a parlare di Gay Related Immunodeficiency Syndrome – sindrome da immunodeficienza correlata all’essere gay. Solo il tempo e le ricerche scientifiche riuscirono ad arginare questa discriminazione».
Quali sono i consigli che si sente di dare alla popolazione per gestire l’ansia e la paura?
«L’unico consiglio è quello di non lasciarsi trasportare dall’onda emotiva, seguire i canali istituzionali di informazione medico scientifica e seguire le indicazioni, se e quando arriveranno, degli esperti. Ad oggi non risulta un’emergenza in Italia e questo è un dato. Abbiamo assistito a comportamenti dettati dall’impulsività (acquisto in massa di mascherine protettive, boicottaggio di locali gestiti da cinesi ecc) ma l’allerta può essere giustificata solo in caso di dati forniti dal Ministero».
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