Il documento di consenso è stato redatto da una task force multidisciplinare europea composta da 22 esperti provenienti da 11 delle maggiori società scientifiche del settore. Il lavoro è stato coordinato da specialisti dell’Università di Genova-Irccs Ospedale Policlinico San Martino, dell’Università di Ginevra e dell’Irccs Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia
Un percorso per arrivare prima e, laddove possibile, con un numero inferiore di esami, alla diagnosi di Alzheimer. È questo l’obiettivo delle prime raccomandazioni intersocietarie europee sulla diagnosi dei disturbi cognitivi e dell’Alzheimer. L’esigenza di avere a disposizione raccomandazioni condivise, come si legge nell’introduzione dello studio pubblicato sulla rivista Lancet Neurology, nasce “dalla recente commercializzazione dei primi farmaci per rallentare la progressione della malattia di Alzheimer”.
Al documento di consenso ha preso parte una task force multidisciplinare europea composta da 22 esperti provenienti da 11 delle maggiori società scientifiche del settore. Il lavoro è stato coordinato da specialisti dell’Università di Genova-Irccs Ospedale Policlinico San Martino, dell’Università di Ginevra e dell’Irccs Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia. “Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l’Alzheimer oppure un’altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi”, spiega Flavio Nobili, co-coordinatore dello studio e professore di Neurologia all’Università di Genova.
Il nuovo documento costruisce percorsi diagnostici differenti a seconda della presentazione dei sintomi nel singolo paziente, consentendo di arrivare a individuare la patologia in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse. Ciò, secondo gli esperti, porterà a ridurre del 70% gli esami strumentali inutili. Le raccomandazioni “potranno essere a breve aggiornate per l’utilizzo dei marcatori di Alzheimer nel sangue”, aggiunge il coordinatore dello studio Giovanni Frisoni, direttore del Centro della memoria agli Ospedali Universitari di Ginevra. Ciò consentirà “di indirizzarli alla terapia con gli anticorpi monoclonali che speriamo arriveranno presto in Europa e che, se somministrati nei pazienti giusti in una fase iniziale della malattia – conclude – potranno ritardare la perdita della memoria”.
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