Studio pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease e firmato dall’italiana Annalena Venneri. La scoperta potrebbe rivoluzionare sia la diagnosi precoce, sia le terapie per questa forma di demenza
Si chiama area ‘tegumentale ventrale’. È una piccola regione del cervello che potrebbe svolgere un compito chiave nello sviluppo della malattia di Alzheimer. Lo studio, pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, è firmato da un’italiana, Annalena Venneri, dello Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN) in Gran Bretagna. La scoperta indica che se l’area tegmentale-ventrale (VTA) non produce la corretta quantità di dopamina per l’ippocampo, questo, che regola la capacità di apprendere e ricordare, non funziona più in modo efficiente. La scoperta potrebbe rivoluzionare sia la diagnosi precoce, sia le terapie per questa forma di demenza, spostando l’attenzione su farmaci che stimolano il rilascio di dopamina. Per pazienti e familiari una nuova importante speranza, dopo la doccia fredda di qualche mese fa, quando il colosso farmaceutico Pfeizer aveva annunciato la rinuncia agli investimenti nella ricerca di nuovi farmaci per il trattamento delle malattie degenerative come Alzheimer e Parkinson.
Si tratta del primo studio al mondo che dimostra questo collegamento negli esseri umani. Venneri e Matteo De Marco della University of Sheffield hanno eseguito test cognitivi e risonanze magnetiche su 29 pazienti con Alzheimer, 30 soggetti con declino cognitivo lieve e 51 persone sane, trovando una correlazione tra dimensioni e funzioni della VTA con le dimensioni dell’ippocampo e le funzioni cognitive dell’individuo. Più piccola risulta la VTA, minori le dimensioni dell’ippocampo e la capacità del soggetto di apprendere e ricordare. La scoperta arriva a un anno dai risultati di esperimenti di laboratorio condotti presso l’Ircss Santa Lucia e l’Università Campus Bio-Medico di Roma. Coordinato da Marcello D’Amelio, lo studio (su Nature Communication) evidenziava anche l’effetto del mancato rilascio di dopamina da parte della VTA su un aspetto che accompagna spesso la malattia fin dalle sue prime fasi: la perdita di motivazione della persona. «Il lavoro getta nuova luce sui meccanismi all’origine della malattia, e spiega perché le sperimentazioni di terapie mirate alle placche beta-amiloidi finora hanno fallito, offrendo una nuova direzione alla ricerca per trattare l’Alzheimer» ha affermato D’Amelio. Ora si tratta di capire se i soggetti in cui quest’area del cervello è ridotta svilupperanno anche l’Alzheimer fra qualche anno.