Salute 23 Giugno 2023 16:53

Alzheimer: la Società Italiana di Neurologia fa il punto sulla ricerca scientifica

A giugno in occasione del mese sull’Alzheimer, la SIN fa il punto sulle novità terapeutiche e sul ruolo della prevenzione per rallentare il decorso della malattia

Alzheimer: la Società Italiana di Neurologia fa il punto sulla ricerca scientifica

In occasione di Giugno Mese dell’Alzheimer – iniziativa promossa dall’Alzheimer’s Association USA  e dalle Associazioni Pazienti, la Società Italiana di Neurologia mette a fuoco le ultime novità sulla Malattia di Alzheimer che solo in Italia colpisce circa seicento mila persone.

Possibile individuare i soggetti a rischio Alzheimer

Ciò che sta cambiando è il crescere delle evidenze scientifiche a favore della possibilità di individuare i soggetti a rischio tramite marcatori plasmatici più facilmente accessibili tramite semplici prelievi ematici. Alcuni di questi, come le proteine fosfo-Tau, GFAP e neurogranina, possono indicare se l’accumulo di amiloide nel cervello rappresenta solo una soglia di rischio o se invece indica già la presenza di  malattia.

L’importanza della prevenzione

La questione è di elevata importanza perché diversi studiosi concordano sul fatto che la prevenzione deve passare attraverso il controllo di tali parametri. Senza trascurare  i noti fattori di rischio cardiovascolare che devono essere costantemente monitorati. Allo stesso tempo è importante tenere un corretto stile di vita con  attività fisica quotidiana, controllo del peso e un’alimentazione sana a base di legumi, frutta fresca e secca, pesce, limitando invece carni rosse e grassi animali.

Un aiuto dalla genetica per tenere lontano l’Alzheimer

«Nelle ultime settimane – commenta il Prof. Alessandro Padovani, Direttore Clinica Neurologica Università degli Studi di Brescia – ha suscitato interesse l’osservazione riportata su Nature Medicine da un gruppo di ricercatori internazionali secondo cui un’alterazione genetica casuale verificatasi a carico della proteina cerebrale reelina, che normalmente regola le funzioni neuronali, ha determinato una cosiddetta gain-of-function, cioè un guadagno di funzione. La variazione genetica, a cui è stata data la sigla RELN-COLBOS, ha portato infatti i due soggetti, un uomo e una donna, che l’hanno avuta, a una trasformazione della loro reelina in un baluardo allo sviluppo della malattia di Alzheimer». I due soggetti infatti nonostante presentassero tutti i marker plasmatici e di imaging di malattia non si sono ammalati resistendo a lungo al suo sviluppo. Questa scoperta apre scenari interessanti per eventuali terapie geniche che permettano di stimolare la produzione di reelina protettiva nei pazienti a rischio.

Terapie farmacologiche: la FDA approva un nuovo monoclonale

Per quanto riguarda le terapie farmacologiche, la Food & Drug Administration americana ha approvato l’impiego di un nuovo farmaco monoclonale: il Lecanemab. Siamo in attesa di capire come si esprimerà l’Agenzia Europea per il Farmaco (EMA) nei prossimi mesi. «I risultati degli studi condotti con farmaci anti-amiloide – afferma il Prof. Alfredo Berardelli, Presidente della Società Italiana di Neurologia – indicano di fatto che è possibile modificare il decorso della malattia, anche se non in modo eguale in tutti i malati. Diversi pazienti sembrano rispondere in modo assai favorevole, altri, invece, in modo poco favorevole, mentre altri ancora riportano eventi avversi, talora anche gravi. A tal riguardo, sono in corso anche nel nostro Paese indagini per comprendere chi sia a rischio di effetti collaterali e come prevedere in anticipo chi è a rischio di esserne colpito nel corso del trattamento».

Possibile bloccare la proteina Tau

Dopo i tanti studi concentratisi sulla proteina beta-amiloide uno studio ha recentemente dimostrato che è possibile ridurre la neurodegenerazione nei pazienti con malattia di Alzheimer agendo con farmaci che bloccano l’espressione della proteina Tau. Le indagini necessitano di conferma, ma supportano precedenti studi a favore del ruolo fondamentale che la proteina Tau svolge al fianco della beta amiloide nello sviluppo della malattia.

Correnti elettriche e stimolazioni magnetiche per frenare l’Alzheimer

Infine, sono sempre più numerosi gli studi sui trattamenti non farmacologici mediante l’utilizzo di correnti elettriche transcraniche o stimolazioni magnetiche transcraniche. I dati sembrano indicare non solo un effetto positivo sui sintomi cognitivi, ma anche effetti biologici protettivi che riducono l’azione tossica dell’amiloide.

I campanelli di allarme da non sottovalutare

L’esordio classico della Malattia di Alzheimer https://www.sanitainformazione.it/salute/microbioma-intestinale-alterato-spia-precoce-alzheimer-possibile-una-diagnosi-piu-precoce/è rappresentato dalla comparsa insidiosa e progressiva di deficit della capacità di formare nuovi ricordi (memoria di fissazione o anterograda), a fronte di una relativamente conservata capacità di rievocare memorie più o meno remote. Successivamente, nel giro di qualche anno, tendono a comparire difficoltà di orientamento temporale (es. nel riferire la data e l’ora del giorno) e spaziale, di comprensione e recupero vocaboli comuni, di riconoscimento di persone note e di utilizzo degli oggetti, mentre il deficit mnesico diviene progressivamente sempre più severo.

Le fasi della malattia

Nelle fasi avanzate il paziente può non riuscire a distinguere il giorno dalla notte, a riconoscere il proprio domicilio, i familiari o addirittura sé stesso allo specchio, ad esprimersi verbalmente in maniera corretta e a svolgere movimenti più o meno complessi. Tutto ciò impatta naturalmente sulla sua capacità di occuparsi della casa, vestirsi e curare l’igiene personale, cucinare, utilizzare il denaro, uscire di casa e spostarsi da solo, assumere correttamente i farmaci, comunicare con gli altri, e così via. Inoltre, anche il movimento e la deambulazione divengono sempre più difficoltosi e incerti. L’aspettativa di vita dalla diagnosi di demenza di Alzheimer è in media di 10 anni circa.

 

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