Ventuno i progetti finanziati dal fondo. Berardinelli, presidente di Alzheimer Uniti Italia, denuncia: «In alcuni CDCD anche nove mesi di attesa per una visita. È inaccettabile…». La conferenza “Emergenza Alzheimer: le risorse di una sfida possibile” organizzata dalla senatrice M5S Barbara Guidolin
In Italia esistono un milione e duecentomila persone con Alzheimer. E le demenze costano complessivamente tra i 16 e 18 miliardi. Numeri con cui tutti dobbiamo fare i conti, in primis il legislatore che ora dovrà valutare se rifinanziare il Fondo per l’Alzheimer, istituito dalla legge di Bilancio 2021 e da cui a distanza di 15 mesi stanno per nascere 21 progetti.
Se n’è parlato nel corso della conferenza “Emergenza Alzheimer: le risorse di una sfida possibile” organizzata dalla senatrice M5S Barbara Guidolin che ha annunciato l’istituzione di un intergruppo parlamentare Alzheimer che possa sensibilizzare governo e opinione pubblica su una patologia che coinvolge tre milioni di caregiver che chiedono di non essere lasciati soli dallo Stato.
Sullo sfondo anche l’esigenza di portare risorse al Piano nazionale per le Demenze (PND) approvato nel lontano 2014 ma mai finanziato oltre alla questione di una legge nazionale per i caregiver da sempre sollecitata dal Movimento 5 Stelle.
«La demenza e l’Alzheimer – ha spiegato Guidolin – sono un tema trasversale che non deve avere alcun colore politico. Il piano nazionale delle demenze ha bisogno di essere rifinanziato e questo ci deve trovare tutti concordi. Con questo spirito, qualche settimana fa ho lanciato l’intergruppo parlamentare su questo tema, che spero che grazie agli incontri che faremo possa far capire ai parlamentari l’importanza del tema e che ci metta in rete, politici ed esperti, in modo da indirizzarci tutti verso lo stesso obiettivo».
Ha sottolineato il valore della prevenzione la professoressa Amalia Cecilia Bruni, ricercatrice, Consigliere regionale in Calabria e già candidata alla presidenza della regione per il centrosinistra: «Oggi il 50 per cento dei pazienti non viene diagnosticato. Oltre ai pazienti conclamati ci sono 900mila persone con forme di deterioramento cognitivo minimo. Nel 1995 ho partecipato all’identificazione del gene maggiore che fa sviluppare Alzheimer. Da allora ci saremmo attesi risultati migliori sul fronte della ricerca su questa patologia. Quello che pensavamo fosse la causa della malattia è in realtà un epifenomeno che ha a che vedere con l’invecchiamento. Per questo la prevenzione è essenziale. Oggi abbiamo contezza che gli stili di vita, l’alimentazione e il movimento possono contenere i fattori di rischio e, oltre ad evitare la malattia, diminuire del 25 per cento il numero di diagnosi».
Ha chiesto di rifinanziare il fondo per l’Alzheimer anche Nicola Vanacore, Responsabile Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha parlato dei progetti attualmente in fase di attuazione: «L’operazione in atto è la più grande operazione nella storia della Repubblica sul tema delle demenze con un finanziamento di 15 milioni di euro. In tutte le regioni centinaia di funzionari e ricercatori stanno lavorando su 21 progetti specifici che riguardano la diagnosi tempestiva, la diagnosi precoce, la telemedicina, la teleriabilitazione e aspetti che riguardano la sfera non farmacologica come la stimolazione congiuntiva o la musicoterapia. Progetti importanti ma abbiamo bisogno del rifinanziamento del fondo. Il prossimo gennaio faremo una conferenza per fare il punto».
Le famiglie chiedono invece una presa in carico globale dei pazienti e di non essere lasciate sole dalle Istituzioni. Parole di Manuela Berardinelli, Presidente di Alzheimer Uniti Italia che ha spiegato: «Le demenze sono una tragedia in famiglia perché non abbiamo strumenti per affrontarle. Dobbiamo coinvolgere il Sistema sanitario nazionale ad aiutare il familiare a prendere in cura la persona malata. Non è possibile che ci siano 21 Italie. Dopo il Covid la situazione è drammatica: la pandemia ha tirato fuori tutta la polvere che avevamo sotto il tappeto, soprattutto dove la fragilità era presente».
Berardinelli ha poi denunciato le enormi liste di attesa dei Centri per Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD): «Nove mesi di media di attesa per una visita che di norma dura cinque minuti. Questo non è accettabile: il nostro obiettivo deve essere quello di migliorare la qualità della vita della persona fragile».
Berardinelli ricorda il bisogno dei neuropsicologi e racconta le tante diversità nella presa in cura dei pazienti: «In alcune zone i CDCD hanno liste di attese molto brevi e altri dove raggiungono i nove mesi. Alcuni centri hanno il neuropsicologo e altri no. E ancora in alcune regioni è attivo un servizio SAD di assistenza domiciliare che è prevalentemente sociale e consiste nel fare la spesa e comprare medicinali, in altri invece è garantita l’Adi, Assistenza domiciliare integrata con l’assistenza infermieristica che è necessaria soprattutto nell’ultima parte della malattia».
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