Renato Cozzi, presidente eletto AME: «La pandemia ha reso più difficile l’accesso agli ambulatori di endocrinologia e questo può avere ritardato anche le diagnosi»
È subdola perché i segnali che lancia vengono molto spesso trascurati o confusi con altro. Nelle giovani donne il ciclo può saltare o scomparire, negli uomini invece può calare libido. Il sintomo distintivo dell’iperprolattinemia è quello che si chiama galattorrea, cioè la fuoriuscita di latte dai capezzoli anche se non si è in gravidanza o non si allatta al seno. Non stupisce che la diagnosi sia molto spesso tardiva e la pandemia potrebbe aver allungato ancora di più i tempi. «Non sono noti studi in tal senso, ma l’emergenza Covid-19 ha reso più difficile l’accesso agli ambulatori di endocrinologia e questo può avere ritardato anche la diagnosi di iperprolattinemia», conferma Renato Cozzi, presidente eletto dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME), già direttore della Struttura complessa Endocrinologia dell’A.S.S.T. Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano.
Nella maggior parte dei casi l’iperprolattinemia è sostenuta da un adenoma ipofisario secernente prolattina, un tumore della ghiandola ipofisaria che causa aumento della secrezione di prolattina. Si tratta di una delle più comuni patologie endocrine dell’asse ipotalamo-ipofisario. «In età giovanile interessa più frequentemente il sesso femminile, mentre nella età più avanzata sono colpiti soprattutto i maschi –, dice Cozzi –. Nei giovani la causa più frequente è un microprolattinoma, cioè un adenoma inferiore al centimetro, mentre nei pazienti più adulti la causa è più frequentemente un macroprolattinoma, cioè un adenoma maggiore di un centimetro», aggiunge. Nel soggetto giovane l’iperprolattinemia si riflette sulla fertilità e sul desiderio sessuale. Le donne affette da microprolattinoma sono spesso amenorroiche, quindi sterili. «Nei maschi invece, oltre al problema della potenza sessuale, sono presenti disturbi neurologici, come cefalea e riduzione della vista», specifica Cozzi.
In passato la cura di questa malattia era prevalentemente medica, con i farmaci dopaminergici, di cui la cabergolina, farmaco completamente italiano, è il maggiormente usato per la sua potenza, efficacia e lunga durata d’azione. «La cabergolina otteneva il ripristino delle mestruazioni regolari e di una normale fertilità e la scomparsa della disfunzione erettile, oltre a controllare le dimensioni del tumore nei pazienti con macroprolattinoma», spiega Cozzi. «Però la cura con cabergolina nella stragrande maggioranza dei casi richiede un trattamento illimitato e pertanto non determina la guarigione, cioè la sospensione di ogni trattamento», aggiunge. L’alternativa è il bisturi. «Negli ultimi anni, grazie alla neurochirurgia, si stanno ottenendo ottimi risultati specialmente nei casi di tumore ipofisario, cioè in quel tipo di tumore, micro o macro che sia, non invasivo delle strutture ossee vicine. In questo caso il neurochirurgo esperto, cioè quello che ha al suo attivo più di 30-50 interventi chirurgici all’anno per una patologia ipofisaria, riesce ad asportare radicalmente la massa neoplastica senza causare danno al tessuto ipofisario sano circostante. Per questo motivo, la consensus sui prolattinomi ha raccomandato che in questo tipo particolare di tumore la prima tappa è quella neurochirurgica. L’intervento neurochirurgico – conclude – permette nella maggior parte dei casi di asportare completamente, l’adenoma, cosa che permette di osservare subito la ripresa di flussi mestruali regolari e quindi anche il ripristino della fertilità».
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