I bambini in età scolare sono i più colpiti dall’anemia, una condizione caratterizzata da bassi livelli di emoglobina nel sangue che, in generale, colpisce quasi due miliardi di persone nel mondo. Nei più piccoli, se non diagnosticata precocemente e trattata adeguatamente, può compromettere la crescita, l’apprendimento e lo sviluppo complessivo. Tuttavia, per diagnosticarla sono necessari prelievi ematici e analisi di laboratorio, dunque, strumentazioni di cui, spesso, i Paesi più svantaggiati non sono forniti. Ora, grazie ai risultati ottenuti da un team di ricerca della Purdue University, del Rwanda Biomedical Center e dell’Università del Ruanda, la situazione potrebbe migliorare nel giro di poco tempo. In uno studio pubblicato sulla rivista Biophotonics Discovery, gli scienziati hanno dimostrato che l’anemia nei bambini può essere rilevata attraverso delle fotografie in scala di grigi dell’occhio, scattate con uno smartphone.
Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno raccolto oltre 12mila immagini della congiuntiva, ovvero la superficie interna della palpebra e la parte bianca dell’occhio, di 565 bambini tra i 5 e i 15 anni. Per ricavare le fotografie sono stati utilizzati normali smartphone e non attrezzature mediche. Gli scienziati hanno poi applicato tecniche di machine learning e radiomica – una metodologia che analizza matematicamente trame e strutture nelle immagini mediche – per identificare segnali associati alla presenza di anemia.
“A differenza di altri approcci che si basano sull’analisi del colore o su strumenti ottici speciali, questo metodo funziona con foto in bianco e nero – spiega Shaun Hong, dottorando alla Purdue University e primo autore dello studio -. Analizza micro-cambiamenti strutturali nei vasi sanguigni oculari, evitando problemi legati alle variazioni di luce o ai diversi modelli di fotocamera”.
Young L. Kim, professore alla Purdue University e autore corrispondente dello studio, precisa: “La nostra tecnologia non vuole sostituire i test tradizionali”, ma potrebbe servire a identificare chi ha più urgente bisogno di ulteriori accertamenti e cure. “Con ulteriori sviluppi, questo approccio potrebbe integrarsi in strumenti di salute mobile per facilitare interventi precoci nelle zone più difficili da raggiungere”, conclude.
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