Dopo un anno di pandemia, molte persone hanno difficoltà a riprendere le vecchie abitudini e la vita prima del Covid-19. La psicologa: «Si ha paura del mondo esterno a cui non siamo più abituati, proviamo un senso di spaesamento rispetto a ciò che c’è fuori». Ecco come affrontare il disagio
La pandemia ci ha forzato a guardare l’altro e il mondo esterno con il timore del contagio. Il SARS-CoV-2 ci ha spinto nel baratro dell’incertezza e costretto alla difesa con la distanza lavorativa e relazionale e l’isolamento sociale.
Può risultare difficile tornare alla vita di prima mettendosi alle spalle quella che abbiamo vissuto nell’ultimo anno. La pandemia ha generato, tra le sue conseguenze, un incremento delle condizioni di disagio psichico. Su tutte, la paura e l’ansia generalizzata provocata da un continuo stato di allarme.
Abbiamo maturato una lunga solitudine in cui la casa è stata un rifugio. La nostra mente è ancora, relativamente, sintonizzata su questo ed è il motivo per cui attiverà una risposta allo stress quando ci esponiamo di nuovo.
Chiara Illiano, psicologa e psicoterapeuta dell’Ordine degli psicologi del Lazio, ci ha spiegato come sia naturale avere difficoltà nel tornare alla normalità, a stare in mezzo alla gente. Prendersi del tempo e riconquistare poco alla volta e con gradualità tutto quello che ci è mancato è la strada giusta da intraprendere.
La pandemia ha innescato una serie di problematiche sul piano della salute emotiva: «Recenti statistiche – precisa la psicoterapeuta – dimostrano che c’è stato un incremento del disturbo post-traumatico da stress negli adulti e di disagi psicologici nei bambini e nei ragazzi. Poi, affaticamento, spossatezza, burnout, stress, disturbi dell’umore, del sonno e irascibilità. A causa del virus, sono aumentati anche i disturbi depressivi e ansiosi. «Questi ultimi – puntualizza la dottoressa – sono legati al rientro alla normalità che sembrava così lontana».
È un disagio del tutto naturale, dovuto al fatto che «abbiamo vissuto un periodo lungo di distacco dalla vita consueta e abituale. Il ritorno non è facile e si esprime attraverso uno spettro di semplici difficoltà psicologiche fino ad arrivare a veri e propri disturbi. I dati della Società italiana di psichiatria parlano di oltre un milione di persone che vivono la famosa sindrome della capanna o del prigioniero» aggiunge la Illiano.
Si potrebbe definire come un misto di ansia e frustrazione da ritorno alla normalità. È la paura di affrontare la vita pre-Covid-19, uscire di nuovo e lasciare quella casa che per mesi ha rappresentato una tana contro il virus. Dai dati della Sip, emerge che una buona parte della popolazione vive con apprensione il reinserimento lavorativo e sociale, la vita “normale” e fatica a riacquistare i ritmi precedenti alla pandemia. È una reazione comune anche per le persone più equilibrate, perché dipende dall’eccezionalità dei fatti.
Alcune persone si sentono insicure ad abbandonare precauzioni e distanze – in zona bianca non c’è obbligo di mascherina all’aperto, ad esempio – si domandano se possono tranquillamente invitare gli amici a casa, fare una festa, partire per le vacanze. Le conseguenze del ritorno alla normalità fanno ancora paura. «Molte persone vivono un senso enorme di responsabilità verso i genitori anziani che hanno altre patologie. Sono terrorizzati dalla possibilità di portare dentro casa un nemico invisibile e così spietato» aggiunge la psicoterapeuta.
Parliamo di fobia sociale – soprattutto negli adolescenti – e paure di vario genere. «Si ha paura del mondo esterno a cui non siamo più abituati, proviamo un senso di spaesamento rispetto a ciò che c’è fuori. La paura è un’emozione indispensabile alla sopravvivenza – precisa la Illiano – ma se supera un certo limite si entra in un quadro patologico e può causare anche conseguenze abbastanza serie».
La psicoterapeuta consiglia un ritorno graduale alla normalità. «Noi psicologi sappiamo quanto sia importante fare piccoli passi per riavvicinarsi alla vita e favorire un processo di adattamento. È indispensabile continuare a seguire le indicazioni che vengono date: la mascherina si può non usare all’aperto ma se ci sono situazioni di possibile rischio è opportuno continuare ad usarla».
Poi, è fondamentale «crearsi degli obiettivi realistici da portare avanti che vanno ad agire sul senso di auto-efficacia percepita dalla persona e sull’autostima. È bene evitare una sovraesposizione mediatica. L’infodemia, un eccesso di informazioni, porta ad un incremento dell’ansia e delle paure. Affidarsi alle fonti ufficiali e alla scienza – suggerisce la Illiano – che ha fatto tanto e sta cercando di veicolare informazioni corrette. Questo dà un senso di realtà. Allontanarsi da tutto ciò che non è utile, anzi nocivo».
C’è chi inizierà dall’aperitivo all’aperto e chi passerà direttamente alla prenotazione delle vacanze. «Le uscite con gli amici, le cene in famiglia sono situazioni utili per ritornare alla normalità mancata – evidenzia la psicoterapeuta -. Iniziare a sperimentarsi in situazioni protette, qualcuno sentirà di potersi esporre di più, altri meno». Continuare in un isolamento “volontario” nel momento in cui ci viene permesso di fare alcune cose, può far «sviluppare disturbi dell’umore e incrementare quelli ansiosi. Bisogna riuscire a trovare una routine soprattutto a livello relazionale che è ciò che ci è mancato di più. Vivere la socialità è indispensabile, dobbiamo riprenderci questi momenti mantenendo alta l’attenzione con responsabilità individuale e collettiva» spiega.
Uno psicologo potrà lavorare su situazioni più complesse, in cui il disagio si protrae. «In assenza di disturbi psicopatologici, un’esposizione graduale permette alla persona di favorire il processo di riadattamento ad un contesto sociale esterno» conclude la Illiano.
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