Lo rivela Laura Reali, pediatra di famiglia e referente dell’Associazione culturale pediatri, in occasione della presentazione del rapporto AIFA su ‘L’uso degli antibiotici in Italia 2018‘, presentato a Roma
Gli antibiotici sono i farmaci più prescritti nella popolazione pediatrica. 4 volte su 10 non vengono scelti antibiotici di prima linea e nei primi sei anni di vita, un bambino su due ha ricevuto, nel corso del 2018, almeno una prescrizione del farmaco. Lo rivela il Rapporto AIFA su ‘L’uso degli antibiotici in Italia 2018‘, presentato a Roma. Dati che mettono in allarme la società scientifica. «Le prescrizioni sono inappropriate per qualità e quantità» ha dichiarato ai microfoni di Sanità Informazione, Laura Reali, pediatra di famiglia e referente dell’Associazione culturale pediatri.
Obesità, asma e allergie, sono le patologie associate ad un uso inappropriato degli antibiotici in età pediatrica. «Ci sono studi ancora più recenti – spiega la dottoressa Reali – sulle modifiche del microbiota intestinale che si verificano a seguito di ricorrenti e prolungate terapie antibiotiche».
Il ricorso agli antibiotici si manifesta con maggior intensità nei mesi invernali, correlato con i picchi influenzali. Un utilizzo inappropriato in molti casi «tanto più che nel primo anno di vita oltre l’80% delle febbri che si manifestano sono di origine virale, – continua la pediatra di famiglia – quindi guarirebbero comunque, se solo si avesse l’accortezza di aspettare il tempo necessario». Inoltre, «con una buona e adeguata sorveglianza pediatrica, si potrebbe individuare meglio e selezionare adeguatamente quali sono i bambini che veramente hanno bisogno di antibiotico, dopo una vigile attesa di almeno due o tre giorni».
Dunque, cosa deve fare il medico? «I pediatri sanno benissimo cosa fare» risponde Reali. Tuttavia, «è difficile spesso mediare in particolari situazioni, vuoi di pressioni, vuoi di condizioni epidemiologiche difficili. Resta la difficoltà di fornire sempre il messaggio giusto».
«Forse suggerirei a tutti noi pediatri di parlare più accuratamente con le famiglie – aggiunge – per spiegare che la scelta di quello che sembra risolvere l’oggi, potrebbe complicare il domani. Trovare il modo di fare un’alleanza terapeutica con i genitori per capire insieme meglio se effettivamente c’è bisogno e quando invece è preferibile aspettare. Insomma, reinsegnare cose che nella vita di oggi non si vedono più: la calma, la valutazione con ponderatezza e la vigile attesa, che credetemi è una grande soluzione».